Il governo Sanchez ha varato un piano da oltre 22 miliardi di euro per lo stop di tutte le 5 centrali nucleari ancora attive nel paese. Oggi generano circa il 20% dell’elettricità spagnola. La loro quota nel mix sarà rimpiazzata dalle rinnovabili. Il costo del decommissioning sarà a carico delle tre aziende che oggi gestiscono gli impianti
Arrivato l’ok finale al piano di uscita dal nucleare in discussione dal 2019
(Rinnovabili.it) – La Spagna conferma l’uscita dal nucleare. La data di scadenza è il 2035 ma lo smantellamento partirà già nel 2027. Oggi le 5 centrali nucleari attive nel paese generano circa il 20% dell’elettricità spagnola (quasi l’8% dell’energia nucleare europea). Ma il governo Sanchez, tornato in carica a fine novembre, vuole puntare soprattutto sulle rinnovabili.
Dell’addio al nucleare, la Spagna ne discute da molti anni. Il piano per l’uscita dall’atomo risale al 2019, quando il governo di allora raggiunse un accordo preliminare con le tre aziende che gestiscono gli impianti nucleari del paese, Iberdrola, Endesa e Naturgy. Accordo rimesso in discussione dai partiti negli anni successivi, soprattutto dai popolari.
L’esecutivo Sanchez il 27 dicembre però ha blindato il percorso verso l’uscita dal nucleare nel giro di 12 anni, approvando in Consiglio dei Ministri il 7° Plan General de Residuos Radiactivos (PGRR), cioè il piano di gestione e smaltimento dei rifiuti radioattivi che risultano principalmente dall’attività degli impianti nucleari.
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Cosa prevede l’uscita dal nucleare della Spagna?
Il piano fa carta straccia di tutte le ipotesi di costruzione di nuovi depositi temporanei o di un deposito unico permanente nazionale per i rifiuti radioattivi. E stabilisce che ciascuna centrale in via di dismissione continuerà a ospitare – temporaneamente – il combustibile nucleare esausto, che rientra nella classificazione a più alta pericolosità. Sia le 2 già oggi in via di dismissione (José Cabrera e Santa Maria de Garoña) sia i 5 impianti oggi ancora in funzione (Almaraz, Trillo, Cofrente, Ascò e Vandellòs).
Temporaneamente, sì, ma in realtà per decenni. Perché lo stesso CdM del 27 dicembre ha decretato lo stop definitivo ai lavori per la costruzione del deposito permanente, che sarebbe sorto a Villar de Cañas, e ha stabilito che la Spagna si doterà di un luogo unico per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi entro gli anni ’70 di questo secolo, cioè tra 50 anni. E che sarà un deposito geologico profondo.
In tutto, l’uscita dal nucleare costerà alla Spagna 20,22 miliardi di euro. Circa 2 mld in più di quanto sarebbe costato con la creazione di un deposito unico invece dei 7 decentralizzati. Denaro che proverrà da un fondo alimentato dagli operatori delle centrali. Le spese sia per la gestione che per lo smantellamento, infatti, saranno pagate dalle imprese attraverso il “fondo per il finanziamento delle attività del PGRR, gestito da Enresa e dotato dei contributi finanziari dei proprietari degli impianti nucleari”, ha chiarito il governo spagnolo, sottolineando il rispetto del principio “chi inquina paga”.