la Commissione europea ha proposto che Stati membri ed Euratom lavorino all'unisono per uscire dal trattato/per abbandonare la Carta dell'energia. Il motivo? Ostacola le mire verdi del Blocco
Definita la proposta per il recesso coordinato dell’UE dal trattato sulla Carta dell’energia
(Rinnovabili.it) – L’idea di una riforma è pressoché impraticabile. L’unica strada per l’Unione Europea è abbandonare la Carta dell’Energia definitivamente, con un processo coordinato tra i Ventisette ed Euratom, la Comunità europea dell’energia atomica. Lo ha annunciato in questi giorni la Commissione Europea ritirando definitivamente la proposta di ratificare il trattato. La via scelta è dunque quella di un taglio netto che tuttavia, con molta probabilità, non sarà preciso e pulito anche nella realtà. Lo sa bene l’Italia che dall’Energy Charter Treaty (ECT) è uscita nel 2016 ma che tutt’oggi appare vulnerabile a nuove citazioni o condanne, a causa delle norme dell’accordo.
Cosa è il Trattato sulla Carta dell’Energia?
L’Energy Charter Treaty è un accordo internazionale creato nei primi anni ’90 con l’obiettivo di stabilire “un quadro multilaterale per la cooperazione transfrontaliera nel settore energetico”. Attualmente coinvolge oltre 50 paesi nel mondo, compresi gli Stati membri UE che lo avevano ratificato con la speranza di rafforzare la propria sicurezza e garantire un approvvigionamento continuo di risorse dall’est all’ovest, in un momento storico in cui in cui la dissoluzione dell’Unione Sovietica aveva generato parecchia incertezza. Il punto forte della Carta e al contempo la sua più grande criticità, sta nella clausola sulla risoluzione delle controversie in materia di investimenti e stato (ISDS o Investor-State-Dispute-Settlement). Tale condizione tutela gli investimenti delle imprese da politiche nazionali teoricamente lesive dei loro, consentendo loro l’accesso ad arbitrati privati.
Uscire dall’ECT, le ragioni comunitarie
Ma perché la Commissione europea preme oggi per abbandonare la Carta dell’Energia? Il motivo è stesso che aveva convinto l’Esecutivo UE a intraprendere un percorso di riforma nel 2019: il Trattato sulla Carta dell’Energia appare troppo obsoleto nelle dinamiche. Soprattutto per quanto riguarda la clausola ISDS, strumento che ha regalato alle aziende poteri enormi sui sistemi energetici nazionali.
Va da sé che con la vistosa accelerazione delle politiche verde comunitarie di questi ultimi anni, l’ECT stia costituendo più un freno che una leva. Regalando ai Ventisette un numero crescente di cause contro misure e leggi nazionali ritenute di ostacolo al comparto fossile. Ecco perché quattro anni fa l’Esecutivo UE ha avviato dei negoziati per riformare il Trattato sulla Carta dell’Energia e ripristinare il “diritto di legiferare” degli Stati Membri in settori cruciali come quello climatico. I tentativi di miglioramento sono stati prontamente bocciati da società civile e associazione ambientaliste. E hanno trovato un solido muro d’opposizione sia a livello del Parlamento europeo che di alcuni Paesi come Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia e Spagna che premevano per un ritiro.
Richiesta finalmente accolta da Bruxelles che il 7 luglio ha depositato la proposta di Recesso coordinato. “Con il Green Deal europeo, stiamo rimodellando le nostre politiche energetiche e di investimento per un futuro sostenibile. L’obsoleto trattato obsoleto sulla Carta dell’energia non è allineato con la nostra legge sul clima dell’UE e con i nostri impegni ai sensi dell’accordo di Parigi”, ha spiegato Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione. “È tempo che l’Europa si ritiri da questo Trattato e si concentri tutta sulla costruzione di un sistema energetico efficiente e competitivo che promuova e protegga gli investimenti nelle energie rinnovabili”.
Abbandonare la Carta dell’Energia, i rischi inevitabili
La proposta di recesso dal trattato sarà ora sottoposta al Consiglio dell’UE, dove è necessario un voto a maggioranza qualificata per la convalida. La Commissione europea prevede che una prima discussione informale avrà luogo nel consiglio dei ministri dell’Energia a Valladolid (Spagna), la prossima settimana, sotto la presidenza spagnola. Tuttavia anche se tutto dovesse procedere in maniera spedita, abbandonare l’Energy Charter Treaty sarà più facile nella parole che nella pratica. Ai sensi dell’articolo 47 del Trattato, per ritirarsi ogni Paese deve dare il preavviso di un anno. E in ogni caso l’accordo resterà in vigore per 20 anni dopo il recesso, applicandosi agli investimenti energetici effettuati prima della data di interruzione.