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L’Italia e il troppo turismo: i problemi dell’overtourism

Troppo turismo: i problemi dell’overtourism in Italia
Manarola, Cinque Terre. Via depositphotos.com

Dall’ambiente all’espulsione dei residenti storici, qual è l’impatto dell’overtourism?

(Rinnovabili.it) – Le ultime ondate di caldo hanno fatto ipotizzare un futuro in cui d’estate le città dell’Europa mediterranea saranno senza turisti per le temperature eccessive. Per il momento, invece, il settore turistico in Italia vive il problema opposto: sempre più località sono interessate dall’overtourism, cioè dal “troppo turismo”. Di che cosa si tratta? Quali sono le soluzioni che vengono adottate? Funzionano?

Cos’è l’overtourism

Con il termine overtourism si indica una situazione in cui il flusso turistico in una certa località e in un certo momento è eccessivo rispetto ad alcuni parametri e quindi causa un impatto negativo. Non esiste una definizione univoca accettata a livello internazionale, ma il fenomeno del troppo turismo interessa molte dimensioni differenti.

Si può parlare di overtourism quando i flussi eccedono le soglie di capacità fisica o ecologica di un luogo. Quando, cioè, la presenza di un certo numero di turisti impatta negativamente sull’ecosistema, la sua capacità di garantire determinate funzioni e servizi, e quindi di restare in una situazione di sostanziale equilibrio.

Gli impatti del troppo turismo, però, possono essere anche o esclusivamente di carattere sociale o economico. L’invivibilità delle città d’arte italiane durante i picchi turistici e l’emergere di “monocolture del turismo” (luoghi la cui economia è fondata essenzialmente sul turismo) ne sono un esempio.

Ci sono poi altre dimensioni dell’overtourism che spesso si tende a tralasciare ma che hanno nondimeno un’importanza da non sottovalutare. L’overtourism impatta a livello psicologico, quando i flussi vanno a modificare le relazioni tra le persone (i residenti) e i luoghi in cui abitano. E anche a livello di capacità politica: il turismo diventa “troppo” anche quando sarebbe gestibile ma la politica latita o compie scelte non ottimali.

Le cause del “troppo turismo”

Secondo uno studio condotto per il Parlamento europeo nel 2018, uno dei più completi e approfonditi realizzati finora, l’overtourism può avere diverse cause. Tra i fattori principali, un posto di rilievo ha avuto il boom dei viaggi low-cost. Spostarsi da un paese all’altro, o anche da un continente all’altro, non è più qualcosa di proibitivo per molte persone come lo era invece 20 o 30 anni fa. Il risultato è che molti luoghi sono diventati in pochissimo tempo accessibili a un numero di persone molto maggiore del solito.

I social e le piattaforme digitali che offrono servizi per il turismo sono una delle concause. Con pochi clic si può prenotare non solo il volo ma anche albergo, bnb, campeggio o altra sistemazione. E la scelta su dove andare non passa più (solo) dalla promozione guidata dalle agenzie di viaggio e dagli enti territoriali, ma sempre più segue una dinamica bottom up e decentralizzata. Alcune mete turistiche diventano gettonatissime grazie a influencer su Instagram o TikTok. La val Verzasca nel canton Ticino, fino a pochi anni fa semi sconosciuta, ha conquistato suo malgrado la fama di “Maldive di Milano” a colpi di post sui social e ha visto aumentare a dismisura i flussi turistici. Una dinamica che crea molti problemi, come vedremo.

Altri fattori che contribuiscono a creare o aggravare il problema legato all’eccesso di turisti sono politiche locali orientate ancora all’aumento della quantità dei flussi, ma anche la proliferazione incontrollata delle sistemazioni per non residenti – Airbnb è l’esempio più evidente, e anche in questo caso genera problemi a cascata di cui parleremo più avanti. Tra le altre concause, lo studio per il parlamento europeo cita la concentrazione di grandi gruppi di turisti e i processi di gentrificazione e di perdita del potere d’acquisto da parte dei residenti.

Turismo selfie-e-fuggi

Quello che si sta affermando oggi è quindi un modello di turismo molto distante da quello che abbiamo conosciuto fino a un paio di decenni fa. Anche dal lato del turista stesso. Che è sempre più alla ricerca di un’esperienza di quel luogo che non necessariamente combacia con l’identità del luogo. O che, nel migliore dei casi, non ne è che un frammento. Questa “decostruzione” della meta turistica passa molto di frequente attraverso i social, come accennato più sopra.

Il lago di Como quest’anno è stato popolato da turisti che cercavano i luoghi in cui si muove George Clooney (possiede una villa a Laglio) o i Ferragnez (anche loro hanno da poco acquistato una villa vista lago, a Pognana Lario). Quello che si cerca è l’inquadratura migliore per un selfie che testimoni di esser passati da lì, di averli visti davvero i luoghi di Clooney e dei Ferragnez, e nient’altro. Quando il turista – che non si è informato per tempo su cos’altro fare attorno al lago di Como – cerca di riempire il tempo, capita che chieda di fare il giro del lago in giornata a piedi, magari per cercare qualche altro scorcio. Peccato che siano 160 km.

Questo non è che un esempio. Se ne potrebbero fare molti altri. Dove questo fenomeno è già incamminato da tempo fioccano ordinanze comunali che tentano di mettere un freno o almeno governare i flussi. Dalle ordinanze che vietano di mangiare per strada a quelle anti-selfie. Non sempre però è semplice, per le autorità locali, mettere in atto una soluzione. Alle 5 Terre il grosso dei turisti arriva in treno ma i sindaci non hanno giurisdizione in materia e si devono affidare a Trenitalia. Che per il momento non fa nulla per regolare i flussi.

Troppo turismo significa anche impatto sull’ambiente e su luoghi fragili. Un esempio sono le calette nell’Ogliastra, in Sardegna, dove molti sindaci stanno mettendo un numero chiuso per tutelare spiagge e fondali. Si accede alla spiaggia solo con la prenotazione, spesso lasciando qualche euro per la gestione dei servizi essenziali (rifiuti, assistenza sanitaria). E negli accordi sono coinvolti sempre di più anche gli operatori turistici.

Modello Airbnb

Nelle città il troppo turismo colpisce ancora più in profondità. Nell’ultimo decennio si è imposto il modello Airbnb, il boom degli affitti brevi che ha permesso a molte più persone che disponevano di un alloggio in vecchie e nuove località turistiche di metterlo in affitto. In breve si è passati dall’affittare una stanza all’intero alloggio, sottraendolo così al mercato immobiliare. E facendolo diventare fonte di rendita grazie all’arrivo in massa di turisti.

La gentrificazione – l’espulsione degli abitanti storici a causa dell’aumento dei prezzi delle case e degli affitti, dovuti a politiche di “riqualificazione” guidate dalle amministrazioni locali – ha lasciato il passo o è stata affiancata dalla turistificazione, un processo analogo che ha come motore l’adeguamento dei centri cittadini alle esigenze dei turisti. La funzione commerciale prevale su tutte le altre funzioni che dovrebbe svolgere una città e “mastica e sputa via” chi resta ai margini del processo perché non ha i requisiti per accedervi. I servizi di prossimità si riducono. I prezzi salgono. Gli abitanti sono in difficoltà crescente e spinti a trasferirsi altrove.

Finora sono poche le città che hanno provato a regolamentare il fenomeno. Anche perché un colosso come Airbnb ha un potere non trascurabile, specie nei confronti di realtà di medio e piccolo livello. Barcellona ha vietato di affittare l’intero alloggio e si può mettere sulla piattaforma solo l’appartamento in cui si è residenti. Vienna ha vietato del tutto gli affitti brevi. San Francisco permette di affittare un appartamento intero ma solo per un massimo di 90 giorni l’anno.

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