Rinnovabili • Trivelle: Londra non abbandona il petrolio del mare del Nord

La transizione verde UK inizia con nuovi favori alle trivelle

Fuoco di fila sulla decisione del premier Boris Johnson di permettere nuove esplorazioni nel mare del Nord. Londra: tuteliamo 40mila posti di lavoro. Ancora da definire i criteri per accedere all’asta

Trivelle: Londra non abbandona il petrolio del mare del Nord
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Ok a nuove licenze per le trivelle se passano un test di ‘compatibilità climatica’

(Rinnovabili.it) – Con una mano fissa obiettivi di riduzione per le emissioni del settore oil&gas. Con l’altra mano assegna nuove licenze alle trivelle nel mare del Nord. Il governo di Londra inizia la sua transizione verde spalancando ancora una volta la porta alle fossili e finisce sotto il fuoco di fila dei critici, che giudicano queste decisioni incompatibili con la presidenza della COP26 che si terrà a Glasgow a novembre.

Cosa ha deciso Londra sulle trivelle

La proposta dell’esecutivo è di permettere alle compagnie petrolifere di acquistare nuove licenze relative a blocchi nel mare del Nord. Le licenze però sono vincolate a un test di ‘compatibilità climatica’. In cosa consiste? Ogni richiesta dovrà soddisfare una serie di criteri, che sono ancora in via di definizione. Da quanto fatto trapelare da Londra, però, ci dovrebbe essere una valutazione basata almeno sulla domanda interna di petrolio e gas, sulle prospettive di produzione dei bacini del mare del Nord, sulla disponibilità di energia pulita, e sui progressi del settore degli idrocarburi nel tagliare le emissioni che verrebbero valutati prima di ogni nuova asta di licenze.

Kwasi Kwarteng, il segretario britannico all’Energia, ha detto che l’accordo sulle trivelle nel mare del Nord invia “un chiaro messaggio in tutto il mondo” dimostrando che la Gran Bretagna sarà “una nazione a energia pulita” e che allo stesso tempo Londra “non lascerà indietro i lavoratori del petrolio e del gas” nella fase iniziale della transizione energetica, che viene definita come un “passaggio irreversibile dai combustibili fossili”.

La transizione secondo Londra

Questa decisione arriva dopo un accordo altrettanto importante tra il governo e l’industria dell’oil&gas. Per sostenere la transizione all’energia pulita, Londra ha deciso di supportare il settore con investimenti pubblico-privati per un valore fino a 16 miliardi di sterline da qui al 2030. In cambio, l’esecutivo guidato da Boris Johnson ha strappato alle compagnie fossili una roadmap sulla riduzione delle emissioni. Gli obiettivi fissati per tutto il settore prevedono un taglio del 10% entro il 2025, che salirà al 25% nel 2027 per poi raggiungere il 50% entro il 2030.

Il doppio impatto della Brexit e della pandemia di Covid-19 prospetta una ripresa complicata per la Gran Bretagna. Il governo quindi sta andando coi piedi di piombo con le misure effettive, dopo aver passato gli ultimi mesi a presentare piani e programmi per la transizione verde che – almeno sulla carta – sono decisamente ambiziosi.

Tra novembre e dicembre scorsi, Johnson ha svelato le linee guida e gli obiettivi principali della transizione britannica. Appena prima del Climate Action Summit del 12 dicembre, il premier  aveva annunciato che il nuovo obiettivo al 2030 è di tagliare le emissioni del 68% rispetto ai livelli del 1990.

“Oggi, stiamo assumendo un ruolo guida con un nuovo ambizioso obiettivo di ridurre le nostre emissioni entro il 2030 più velocemente di qualsiasi grande economiaaveva rivendicato Johnson Ma questo è uno sforzo globale, motivo per cui il Regno Unito esorta i leader mondiali a presentare i propri ambiziosi piani per ridurre le emissioni e fissare obiettivi di emissioni nette zero”.

In effetti l’obiettivo è ben più ambizioso di quello europeo. Bruxelles sta ancora cercando la quadra per la legge sul clima UE, dossier che dovrebbe chiudere entro il 22 aprile, la Giornata della Terra durante la quale si terrà un grande summit internazionale sul clima organizzato dagli Stati Uniti di Biden. Per quella data, l’UE vuole che l’obiettivo di tagliare le emissioni dei Ventisette del 55% rispetto al livelli del 1990 abbia ricevuto luce verde da Consiglio, parlamento e Commissione.

Ambiziosi anche altri punti del programma di Johnson. Ad esempio quello sull’eolico offshore, dove Londra già primeggia e su cui Downing Street vuole puntare per farne la colonna portante della transizione. Per il settore, l’obiettivo fissato è almeno 40 GW di capacità installata entro il 2030. Accelerazione anche sull’idrogeno (5 GW entro 10 anni, con la porta aperta anche all’idrogeno blu) e nucleare. Sul versante energia nulla si era detto a proposito delle trivelle. E poi ancora: sul fronte mobilità sostenibile, vietate auto e veicoli commerciali a benzina entro il 2030; per l’efficienza energetica investimenti per 1 miliardo di sterline solo nel 2021 e 600mila pompe di calore l’anno da installare fino al 2028.

Critiche a Londra

Dopo tanti annunci la prova dei fatti si sta rivelando impietosa per il governo britannico. Nelle ultime settimane Londra è sommersa dalle critiche, per vari dossier. La decisione di aprire una nuova miniera di coke in Cumbria ha sollevato un vespaio costringendo in breve tempo Johnson alla retromarcia. Ci sono critiche che serpeggiano anche in parlamento al piano per la transizione verde, visto che Downing Street non ha mai fatto chiarezza fino in fondo su quanti soldi intende davvero mettere sul piatto. Il sospetto è che in alcuni casi Johnson stia provando a fare il gioco delle tre carte, contando due volte alcune voci (ad esempio il Green Homes Grant).

Sta di fatto che l’esecutivo vuole tirare dritto per la sua strada e mette in campo una narrativa molto chiara: la nostra transizione verde non lascerà nessuno indietro e non costerà posti di lavoro. Non deve stupire quindi che i nuovi annunci sulle trivelle siano stati calibrati proprio sulla necessità di non lasciare in mezzo al guado i lavoratori del settore. L’accordo siglato con l’industria oil&gas, dice Londra, permette di salvaguardare 40mila posti di lavoro lungo l’intera catena del valore degli idrocarburi, e al tempo stesso ridurrebbe le emissioni di 60 milioni di tonnellate in 10 anni.

“Questo è un colossale fallimento”, ribatte Mel Evans di Greenpeace. “Il Regno Unito si renderà ridicolo nel periodo che precede i colloqui globali sul clima della COP26 se il nostro ministro dell’Energia sottoscrive nuove licenze per petrolio e gas che servono a strappare l’accordo di Parigi”. E sottolinea che il governo ha già estratto troppi combustibili fossili per riuscire davvero a rispettare Parigi. Come se non bastasse, Greenpeace ricorda al governo che persino l’industria petrolifera “afferma che abbiamo superato il picco della domanda di petrolio”.

Su una linea molto simile anche Lang Banks, direttore del WWF Scozia, che ai microfoni della BBC spiega: “Ogni nuova licenza rende più difficile ottenere le riduzioni di cui abbiamo bisogno e rischia di creare un baratro ancora più profondo per i lavoratori del petrolio e del gas”. Poi avverte: “Poiché la scienza del clima continua ad essere aggiornata, è del tutto possibile che ci sarà bisogno di una riduzione ancora più rapida della produzione di petrolio e gas di quanto è attualmente previsto”. Per assicurare davvero una transizione equa, quindi, non bisogna “perdere altro tempo ad aprire nuove riserve di combustibili fossili”, ma invece “sfruttare più rapidamente le competenze esistenti e indirizzarle verso le industrie a zero emissioni di carbonio di cui tutti abbiamo bisogno”.