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Trivelle in Adriatico, l’UE chiede più attenzione all’impatto ambientale

La sentenza della Corte di giustizia UE dà l’o a concessioni limitrofe affidate allo stesso soggetto, ma chiede VIA cumulativa oltre a quelle relative alle singole parcelle. Enzo Di Salvatore (No Triv): la sentenza riconosce che “il problema sono le proroghe eterne”

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Foto di C Morrison da Pixabay

Dopo il ricorso di Regione Puglia contro le trivelle in Adriatico

(Rinnovabili.it) – La Corte di giustizia europea dà l’ok alle trivelle in Adriatico, dando solo mezza soddisfazione alla Puglia – autrice del ricorso al massimo tribunale UE – e ai movimenti che si oppongono allo sfruttamento offshore degli idrocarburi. Sono lecite le concessioni affidate alla stessa entità anche se limitrofe, stabilisce il tribunale con sede in Lussemburgo. Ma la VIA deve tener conto degli effetti cumulativi delle operazioni nei diversi blocchi.

Lo scorso maggio, il MiTE aveva dato l’ok alle trivelle in Adriatico, sbloccando un dossier che 5 anni fa aveva dominato le cronache nazionali con il referendum abrogativo del 2016 e l’emergere del movimento No Triv. Poi l’assegno di 4 concessioni all’australiana Global Petroleum in aree antistanti la costa pugliese ampie in tutto 3.000 km2 e il ricorso presentato dalla giunta guidata da Michele Emiliano.

La Corte di giustizia conferma che, se la legge italiana vieta concessioni per aree superiori a 750 km2, nulla vieta che la stessa azienda si aggiudichi il permesso di prospezioni e di sfruttamento in blocchi contigui. Blocchi che renderebbero l’area di operazioni più ampia del limite indicato dalla norma. Unico vincolo in questo caso è la garanzia della libera concorrenza.

“Uno Stato membro può, entro i limiti geografici da esso stabiliti, concedere più licenze allo stesso operatore per la prospezione, l’esplorazione e la produzione di idrocarburi, quali petrolio e gas naturale, per aree adiacenti, purché garantisca un accesso non discriminatorio a tali attività per tutti gli operatori e valuti l’effetto cumulativo di progetti che possono avere effetti significativi sull’ambiente”, si legge nella sentenza.

Ma il tribunale aggiunge anche un monito: la procedura di valutazione ambientale deve comprendere anche una valutazione dell’impatto complessivo delle operazioni su tutti i blocchi assegnati alla stessa azienda, e non solo quelle relative alle singole parcelle.

“Può rivelarsi necessario prendere in considerazione gli effetti cumulativi di progetti come quelli di cui trattasi nella causa principale, al fine di evitare un’elusione della normativa comunitaria mediante il frazionamento di progetti che, nel loro insieme, possono avere effetti significativi sull’ambiente”, recita la sentenza. “Spetta alle autorità nazionali competenti tener conto di tutti gli effetti ambientali derivanti dalle delimitazioni temporali e spaziali delle aree interessate dai permessi di ricerca di idrocarburi. Pertanto, se la legislazione di uno Stato membro consente allo stesso operatore di richiedere più permessi di ricerca di idrocarburi, deve essere effettuata anche una valutazione dell’impatto cumulativo di progetti che probabilmente avranno un impatto significativo sull’ambiente”.

Per Emiliano, la sentenza accoglie le preoccupazioni della Regione. “Adesso in compresenza di più autorizzazioni su aree contigue, in termini cumulativi, sarà più difficile ottenere una valutazione di impatto ambientale positiva, afferma. In più, la Corte di giustizia UE ha fatto riferimento all’impatto negativo dell’uso di tecniche di prospezione come l’air gun. “La Corte Europea ha stabilito che è necessario valutare l’impatto ambientale dell’air-gun sommando tutte le ricerche contigue”, sintetizza Emiliano.

Più dettagliato il giudizio di Enzo Di Salvatore, fra i promotori del referendum No Triv. “La sentenza non è affatto inutile, poiché chiarisce – semmai ve ne fosse stato bisogno – tre questioni”, spiega. Oltre all’obbligo di valutare in sede VIA l’impatto cumulativo, la Corte dice che “tutti i titoli sono esclusivi e che lo sarebbe anche il “permesso di prospezione” (cosa che in Italia non è)”. Altro aspetto da sottolineare, per Di Salvatore: il problema non riguarda tanto l’estensione territoriale dei titoli, quanto la durata degli stessi. È la loro durata a porre problemi di compatibilità con la libera concorrenza; ed è per questo che proroghe eterne – come accade in Italia per le concessioni di coltivazione – non sarebbero legittime”.