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Dopo Spagna e Olanda, anche Parigi si ritira dal trattato sulla Carta dell’Energia

Anche se il processo di modernizzazione dell’ECT è ancora in corso, molti paesi europei stanno uscendo dal trattato per sottrarsi a cause miliardarie contro le loro politiche climatiche

Trattato sulla Carta dell’Energia: la riforma secondo Bruxelles
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L’Italia ha annunciato la sua uscita dall’Energy Charter Treaty già nel 2015

(Rinnovabili.it) – Anche se c’è un accordo di massima per riformarlo, raggiunto a giugno, i paesi europei stanno uscendo alla spicciolata dal trattato sulla Carta dell’Energia. L’ultimo addio (per ora) l’ha detto la Francia il 21 ottobre, seguendo di pochi giorni l’identica decisione di Spagna e Paesi Bassi e un voto del parlamento polacco in questa direzione. Una scelta necessaria per essere “coerenti” nelle politiche sul clima, ha spiegato il presidente francese Macron.

Il trattato sulla Carta dell’Energia (ECT) unisce 54 membri da tutto il mondo e 40 paesi con status di osservatore ed è pensato per proteggere gli investimenti grazie al controverso meccanismo ISDS (Investor-State-Dispute-Settlement). Le aziende che ritengono di subire un danno dalle politiche energetiche e climatiche degli Stati possono trascinarli in tribunale e intentare cause miliardarie accedendo all’arbitrato internazionale. Oggi suona come una follia, ma l’ECT risale ai primi anni ’90 e nasceva per tutelare gli investitori in un frangente storico in cui la dissoluzione dell’Unione Sovietica aveva generato incertezza per tutta l’Europa orientale e oltre. Il processo di riforma degli ultimi 2 anni doveva rimetterlo al passo coi tempi. Ma non sta convincendo molti dei suoi stessi promotori.

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Il perché lo ha riassunto così la settimana scorsa Pascal Canfin, europarlamentare francese: “Dobbiamo uscire dal trattato sulla Carta dell’energia perché finiamo per essere citati in giudizio dalle multinazionali attraverso tribunali privati che ci impediscono di attuare le nostre politiche climatiche”. È esattamente quello che è successo all’Olanda nel 2021, quando il colosso tedesco RWE ha usato l’ISDS per contestare l’uscita dal carbone del paese perché avrebbe provocato danni economici all’azienda. L’Italia – che è uscita dall’ECT da anni – qualche mese fa è stata condannata a pagare 190 mln di euro alla Rockhopper per la vicenda Ombrina Mare.

In pratica, qualsiasi politica climatica allineata a Parigi e all’accelerazione richiesta dall’ultimo rapporto IPCC può presentare un conto salatissimo se le aziende fossili coinvolte decidono di ricorrere all’ISDS. Ma anche uscendo dall’ECT, non è detto che le cause non arrivino lo stesso. Il trattato, infatti, ha una cosiddetta “sunset clause”, una clausola che permette alle compagnie di citare in giudizio gli stati retrospettivamente.

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