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Il Trattato ONU sugli Oceani naufraga su Artico e deep sea mining

Trattato ONU sugli Oceani: fumata nera, 15 anni di negoziati non bastano
Photo by Lionipan on Unsplash

Dal 15 agosto erano in corso i negoziati sul Trattato ONU sugli Oceani

(Rinnovabili.it) – Fumata nera per la tutela degli oceani. Il 27 agosto, i negoziati per un nuovo accordo globale sulle acque internazionali sono falliti dopo due settimane di discussioni a New York. I 168 paesi presenti – cioè tutti i firmatari dell’unico trattato finora in vigore sul tema, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982 – hanno posizioni ancora troppo distanti. Soprattutto sullo sfruttamento delle risorse in alcune delle regioni più colpite dalla crisi climatica, come l’Artico. Il Trattato ONU sugli Oceani per il momento resta in stand by. Senza nuove date per riprendere il dialogo.

Cosa tutela il Trattato ONU sugli Oceani?

A più di 40 anni dall’entrata in vigore dell’UNCLOS, soltanto meno del 2% delle acque internazionali ha un livello di protezione, ma queste rappresentano i 2/3 dei mari di tutto il mondo. Al di fuori di queste poche regioni poste sotto tutela, il diritto internazionale permette a qualsiasi stato di sfruttare le risorse ittiche e la libertà di navigazione.

Gran parte degli oceani mondiali, però, è in una situazione di pesca eccessiva ed è inquinato dalla moltiplicazione delle rotte marittime commerciali. Minacce a questi ecosistemi che si aggiungono alla pressione crescente dovuta alla crisi climatica e al declino della biodiversità. Oggi, per cause diverse, sono considerati a rischio il 67% dele specie di pesci, l’11% dei molluschi, 9 specie di squali e razze su 10 e il 15% delle barriere coralline. C’è poi l’incognita del deep sea mining, lo sfruttamento delle risorse minerarie a grandissima profondità (tra i 2.000 e i 5.000 metri) su cui puntano sempre di più stati e aziende per ottenere metalli fondamentali per la transizione energetica come rame, nickel e litio, e terre rare.

Con il Trattato ONU sugli Oceani si costruisce un quadro di protezione rafforzata, con l’obiettivo di tutelare almeno il 30% delle acque internazionali globali. Ma si tratta di una semplice cornice, che va riempita dalle promesse dei singoli stati: non avrebbe cioè avuto carattere vincolante. Fra le aree di intervento del Trattato ci sono la creazione di aree marine protette, il miglioramento delle valutazioni di impatto ambientale in mare, la fornitura di aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo e un accordo per la condivisione delle risorse genetiche della vita marina.

I punti di disaccordo

Le risorse sottomarine fanno però gola a troppi paesi, che non hanno intenzione di legarsi le mani da soli con un accordo come quello previsto dal Trattato ONU sugli Oceani. Il punto dove c’è stato più disaccordo è lo status dell’Artico. Nonostante il Polo Nord sia colpito da un riscaldamento globale almeno 3 volte maggiore rispetto al resto del pianeta, proprio lo scioglimento anticipato dei ghiacci prospetta nuove vie commerciali più brevi aperte tutto l’anno e la possibilità di sfruttare le risorse situate sui fondali.

Nonostante i negoziati, in una forma o nell’altra, vadano avanti da 15 anni, molti paesi hanno tentennato prima di cercare un compromesso finale, accusano alcuni osservatori. Altri paesi, come la Russia, hanno remato direttamente contro. “Mentre alcuni gruppi, come le isole del Pacifico e il gruppo dei Caraibi, hanno spinto molto per portare il Trattato al traguardo, i Paesi del Nord globale hanno iniziato a lavorare per raggiungere dei compromessi solo negli ultimi giorni di negoziazione, dopo che è stato rivelato che i negoziati erano sull’orlo del collasso”, spiega Greenpeace. “La Russia è stata anche un blocco fondamentale nei negoziati, rifiutando di impegnarsi nel processo del Trattato stesso o cercando di raggiungere un compromesso con l’Unione Europea e molti altri Stati su un’ampia gamma di questioni”. (lm)

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