Vanuatu è uno dei paesi più vulnerabili al climate change ed è già carbon-negative, ovvero assorbe più gas serra di quanti ne emetta. All’Onu ha appoggiato la richiesta di 65 città globali di regolamentare la produzione delle fossili in modo analogo a come si è gestita la non proliferazione di bombe atomiche
Un trattato globale contro le fossili aggredirebbe la fonte dell’86% delle emissioni mondiali di CO2
(Rinnovabili.it) – Il mondo ha bisogno di “un trattato di non proliferazione” per bloccare carbone, petrolio e gas, proprio come esiste un analogo accordo per le armi nucleari. In entrambi i casi la sfida è “esistenziale”, che sia la mutua distruzione con ordigni atomici o l’autoannientamento con le emissioni di gas serra. È la proposta avanzata all’assemblea generale dell’Onu in corso a New York da parte di Vanuatu, il piccolo arcipelago del Pacifico che è uno dei paesi più vulnerabili al climate change. Ed è anche il 1° paese al mondo a chiedere ufficialmente un trattato globale contro le fossili. Finora questo appello era stato lanciato solo da città globali, una settantina sparse in ogni continente, da Parigi a Calcutta a Los Angeles.
“Ogni giorno sperimentiamo conseguenze sempre più debilitanti della crisi climatica. I diritti umani fondamentali vengono violati e il cambiamento climatico non si misura in gradi Celsius o in tonnellate di carbonio, ma in vite umane”, ha esordito il presidente di Vanuatu, Nikenike Vurobaravu. “Questa emergenza è stata creata da noi stessi. I nostri giovani sono terrorizzati dal mondo futuro che stiamo consegnando loro attraverso l’espansione della dipendenza dai combustibili fossili, compromettendo la fiducia e l’equità intergenerazionale. Chiediamo lo sviluppo di un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili per ridurre gradualmente la produzione di carbone, petrolio e gas in linea con gli 1,5°C, e consentire una giusta transizione globale per ogni lavoratore, comunità e nazione dipendente dai combustibili fossili”.
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In cosa consisterebbe questo trattato globale contro le fossili? Essenzialmente, si tratta di un meccanismo internazionale che aggredisce la fonte dell’86% delle emissioni di CO2 globali (di cui l’accordo di Parigi non parla), in grado di fare due cose: bloccare l’espansione di ogni nuovo progetto legato alle fonti fossili, e impostare una transizione equa. Il punto di partenza sarebbe quindi bloccare l’entrata in produzione di nuovi siti e, contestualmente, impedire l’esplorazione di nuovi giacimenti. La seconda fase dovrebbe consistere nello smaltimento, ordinato e rapido, degli stock di fossili oggi in uso. La curva dovrebbe essere compatibile con l’obiettivo più ambizioso del Paris agreement, gli 1,5 gradi. Infine, il trattato favorirebbe le soluzioni più giuste di adattamento.