(Rinnovabili.it) – Un portafoglio di progetti in esercizio di 6 MW più altri 3 MW in costruzione, tutti eolici e in Sicilia, e iniziative a vari stadi di maturità che raggiungono gli 1,2 GW sparsi su tutto il territorio nazionale e comprendono sia eolico sia fotovoltaico. Alle spalle, un gruppo multinazionale con sede in Danimarca attivo dal 2006 in diversi paesi europei e non solo. Come altre realtà analoghe sbarcate nel Belpaese, Eurowind Energy Italia – attiva dal 2016 ma in forze da aprile 2022 – sta contribuendo alla transizione energetica mentre il quadro legislativo in materia attraversa una fase di profonda rimodulazione. Con quali priorità e prospettive? Lo abbiamo chiesto a Marco Caminiti, Country Manager Italy di Eurowind Energy Italia.
Il suo Gruppo lavora in 16 paesi di cui 15 sono in Europa. Quanto conviene investire in energia pulita in Italia?
Il profilo di rischio dell’Italia è assolutamente comparabile a quello degli altri paesi dove operiamo. Ma c’è una peculiarità: la complessità normativa è molto elevata. Per passare dalla fase di inizializzazione di un progetto a quella di messa in esercizio si può impiegare quasi il doppio del tempo, rispetto ad altri paesi UE.
Da dove viene questo dato?
Si tratta di una stima basata sull’esperienza di Eurowind Energy nel panorama europeo, sicuramente non del risultato di un’analisi sistematica. Ma l’ordine di grandezza è questo. Ovviamente più tempo serve, meno desiderabile è l’investimento. E questa complessità normativa ha effetti dilatori a cascata sulle tempistiche.
Cosa intende?
Penso all’ iter autorizzativo: se la normativa è complessa si moltiplicano le interpretazioni possibili. E questo non semplifica il lavoro dei funzionari delle pubbliche amministrazioni né quello delle imprese proponenti, anzi. Inoltre, l’instabilità normativa spesso risulta in variazioni significative delle regole del gioco durante l’autorizzazione; ciò penalizza chi, come noi, investe nel lungo termine (30 anni).
In ultima analisi, da un lato il legislatore dimostra interesse a semplificare il settore delle rinnovabili, dall’altro la dinamica che ho descritto confligge con l’intenzione stessa del legislatore. E frustra gli obiettivi strategici dell’Italia. Intendiamoci, abbiamo visto anche interventi ottimi, ad esempio con l’introduzione del termine perentorio.
Altri interventi più recenti hanno sollevato molte critiche, come il contributo di 10€/kW di potenza installata per 3 anni previsto dal Dl Sicurezza Energetica del 9 dicembre dell’anno scorso. Qual è la vostra posizione?
Naturalmente come produttori siamo presi tra l’incudine di questo contributo e il martello della volatilità dei prezzi, sia dell’energia sia delle componenti lungo la supply chain. Per un tipico impianto fotovoltaico da 20MWp questo contributo ammonterebbe a duecentomila euro/anno, o seicentomila euro nei primi tre anni di vita di impianto.
Oggi, con il Prezzo Unico Nazionale (PUN) dell’energia in una fase di alto, il contributo elide una proporzione di fatturato significativa, tantopiù negli anni immediatamente successivi all’esborso dei costi di costruzione. Ma lo storico nazionale del PUN pre-guerra è attorno ai 40-50 €/MWh; una volta tornati a questi livelli, ovviamente il contributo diventerebbe difficilmente sostenibile. È pur vero che introdurlo ora ci colpisce in una fase ove – in termini di valori assoluti – è meno impattante. Ma dall’altro lato dobbiamo sostenere costi altamente volatili in tutte le fasi, dalla progettazione alla costruzione, la cui variazione difficilmente si riflette sul prezzo dell’energia.
Un altro intervento contestato è la tassa sui diritti di superficie introdotta con l’ultima legge di Bilancio. Cosa non funziona in questo caso?
Anche qui, l’iniziativa appare in conflitto con gli obiettivi strategici dell’Italia. Se da un lato comprimiamo i fatturati e dall’altro aumentiamo i costi lungo la catena del valore dell’investimento, esso diventa meno appetibile. Su questo punto, come su quello precedente, vedrei meglio approcci alternativi.
Quali?
Un approccio improntato alla detassazione invece che alla tassazione diretta. Il punto chiave è questo: si può dare nuovo impulso all’energia pulita solo se si lavora a livello di sistema energia Italia.
Mi spiego. Invece di introdurre nuove tasse e contributi, perchè non lavorare ad un meccanismo virtuoso che dia una premialità ai progetti solidi? In questo modo si potrebbe anche pensare ad un sistema che avvicini gli Enti coinvolti e che possa allineare gli interessi di Produttori, Istituzioni ed Operatori della rete di trasmissione e distribuzione.
In concreto, come si tradurrebbe questo approccio?
Ad esempio si potrebbero innescare sinergie tra produttori e operatori di rete, in modo tale da collaborare in maniera appropriata, facilitando tra le altre cose lo sviluppo della rete. D’altronde, da un lato abbiamo Terna ed E-Distribuzione che devono realizzare piani di investimento massicci per rafforzare l’infrastruttura di rete; dall’altro ci siamo noi produttori che fatichiamo ad accedere a connessioni con tempi adeguati e costi convenienti.
Sarebbero auspicabili regole più strette per l’accesso alla rete (es anticipi, tempi per avviare l’iter autorizzativo) onde ridurre gli sprechi; in alternativa un modello che premi l’efficienza tramite gare per l’attribuzione della potenza disponibile, gestite dall’operatore di rete. Il modello spagnolo si ispira a questo concetto; bisogna però porre adeguata attenzione ai criteri per assicurarsi che queste gare siano eque sul mercato. Queste soluzioni faciliterebbero la pianificazione dei rafforzamenti da parte dell’operatore di rete, potenzialmente favorendo un’interazione strutturata con gli Enti in allineamento con gli obiettivi strategici nazionali.
L’altro fronte su cui si muove il governo è quello degli incentivi.
I nostri progetti attualmente in iter autorizzativo non hanno accesso a incentivi. Oggi il legislatore sembra avere una preferenza per lo sviluppo di impianti di piccola taglia distribuiti sul territorio in aree specifiche, ad esempio lungo le fasce perimetrali delle autostrade. Questo approccio ha i suoi meriti, poiché agevola impianti che godrebbero di un iter autorizzativo semplificato; è altrettanto vero che per il raggiungimento degli obiettivi comunitari sono necessari anche impianti di grossa taglia.
Noi riteniamo che gli incentivi debbano essere usati come una scala mobile, ad esempio quando una tecnologia non è abbastanza matura, o non lo è il suo adattamento a condizioni specifiche. Penso ad esempio all’idrogeno verde (sul quale siamo pure attivi), o all’agrivoltaico.
Agrivoltaico su cui state sviluppando dei progetti.
Sì, abbiamo diverse iniziative in sviluppo. E, se ben articolato, tipicamente l’impianto è perfettamente compatibile con l’attività agricola, posto che essa utilizzi una tecnologia moderna. Cosa che però spesso non si verifica. Ovvio che far coesistere agricoltura ed energia aumenta la complessità in modo esponenziale. Qui gli incentivi hanno senso perché lavorano sul rischio aggiuntivo, contribuendo a ridimensionarlo a livelli accettabili. Ne avremo ancora bisogno tra 10 anni? Forse no. Tra 2? Sicuramente sì. È poi importante che gli incentivi siano regolamentati in maniera chiara, snella e senza eccezioni.
Lato regolatorio, qual è il vostro giudizio sulle linee guida ministeriali sull’agrivoltaico?
A differenza di altri paesi in UE, abbiamo delle linee guida nazionali; questo è un vantaggio e dimostra lungimiranza del legislatore. Ovviamente mancano i decreti attuativi per tali linee guida, che ad oggi lasciano quindi ampio spazio all’interpretazione. Pensando all’esempio dei parametri operativi: Come avverranno i controlli? Quali saranno le sanzioni in caso di deviazioni? E poi, quali tolleranze sarebbero disponibili se l’attività agricola dovesse temporaneamente interrompersi (invalidando in linea teorica il permesso dell’impianto, a fronte di un investimento già interamente mobilizzato dal produttore)?
Qual è la priorità su cui il MASE dovrebbe intervenire per potenziare lo sviluppo delle rinnovabili?
E’ difficile rispondere categoricamente. Sicuramente manca un meccanismo che permetta l’introduzione di impianti ibridi: ad esempio fotovoltaico, eolico e accumulo che condividano lo stesso punto di allaccio alla rete (come è possibile fare in altri paesi UE). Peraltro, tale meccanismo può contribuire a stabilizzare la rete elettrica nazionale, aumentandone l’efficienza.
Il Ministero potrebbe inoltre rafforzare la consultazione con questo settore, di importanza strategica su diversi fronti (dalla sicurezza energetica, alla competitività del comparto produttivo e industriale, alla transizione ecologica) prima di finalizzare nuove iniziative legislative. Ad esempio, si potrebbe coinvolgere produttori di energia rinnovabile ed altri soggetti direttamente interessati in gruppi di lavoro pensati per fornire input specifici al legislatore, prima della stesura della bozza. Ciò potrebbe contribuire a definire al meglio gli obiettivi strategici, bilanciando nel contempo le necessità degli operatori di settore e le criticità del sistema energetico nazionale; e garantendo un approccio sistematico e strutturato.
(l.m.)