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La transizione ecologica non si può più rimandare

Cresce l'urgenza climatica mentre in Europa e in Italia si fatica ad abbracciare una reale transizione ecologia. Ma il tempo della procrastinazione e delle vuote promesse è ormai finito

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Via depositphotos.com

di Rossella Muroni

(Rinnovabili.it) – Il sesto rapporto sul clima dell’Ipcc ha ribadito non solo che il cambiamento climatico è pericoloso e causato dall’uomo, ma anche che rappresenta una minaccia vicina. Nel 2019 le emissioni di anidride carbonica hanno raggiunto la concentrazione di 410 parti per milione, a meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala ci dice ancora il rapporto limitare il riscaldamento a circa 1,5°C sarà un obiettivo fuori da ogni portata. Molti lo hanno definito un codice rosso dell’umanità. Non proprio le migliori premesse per un successo alla vigilia della Ventiseiesima Conferenza Onu sul Clima (Cop 26), che dal 31 ottobre al 12 novembre si terrà a Glasgow.

La necessità di azioni adeguate è stata evidenziata anche dal direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, Fatih Birol, non esattamente un pericoloso e ideologico ambientalista. In occasione della presentazione del World Energy Outlook 2021, Birol ha spiegato che gli attuali impegni sul clima porterebbero solo al 20% della riduzione delle emissioni necessaria entro il 2030 per mettere il mondo in traiettoria con l’obiettivo delle zero emissioni nette a metà secolo. Un percorso, ha aggiunto, che richiede almeno di triplicare gli investimenti sulle rinnovabili nel prossimo decennio.

Di fronte al deflagrare della crisi climatica, l’Europa guidata da Ursula Von Der Leyen ha investito da subito su una svolta green, cercando di riconquistare la leadership nella lotta al mutamento climatico con nuovi e più ambiziosi obiettivi e con il ‘Fit for 55’: il pacchetto di misure proposte dalla Commissione per raggiungere il target di riduzione di almeno il 55% delle emissioni nette rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Per quanto importanti, target e piani europei non sono ancora abbastanza per restare nella traiettoria indicata dall’Accordo sul Clima di Parigi. E su alcuni elementi essenziali, come la tassonomia verde che dovrà definire le fonti energetiche pulite da sostenere con soldi pubblici, l’Ue deve ancora trovare la giusta sintesi. Perché è del tutto evidente che nonostante la pressione di lobby e Stati membri legati a fossili e atomo, gas e nucleare debbano restarne fuori. 

E come componente ecologista in Parlamento noi di FacciamoECO torniamo a chiedere al Governo che si impegni affinché in Europa prevalga questa posizione. Un impegno necessario soprattutto dopo le affermazioni pronunciate all’ultimo Consiglio europeo dalla Von Der Leyen che accanto alla necessità delle rinnovabili ha aperto a fonti stabili come l’atomo e di transizione come il gas. Parole che hanno fatto uscire allo scoperto i nuclearisti italiani a cui ribadisco due concetti chiari e semplici: in quanto fossile il gas non può essere considerato una fonte di transizione, mentre il nucleare pulito e sicuro è solo una fantasia. Gli unici reattori in costruzione in Europa – Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamanville – lo sono da ben oltre dieci anni con spese lievitate, quindi hanno costi e tempi incompatibili con la transizione e non hanno risolto neanche il problema delle scorie. Anziché usare armi di distrazione di massa, concentriamoci sulla soluzione che già oggi abbiamo: rinnovabili, sistemi di accumulo, smart grid, efficienza e innovazione.

Tornando in Italia, il nostro Piano energia e clima deve essere ancora aggiornato, ma secondo quando messo nero su bianco nel nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrà contenere un obiettivo di riduzione delle emissioni del 51%, non del 55, al 2030. Aggiungiamo un investimento nel Pnrr fortemente sbilanciato sull’idrogeno più che sulle fonti pulite, il protagonismo del gas fossile a cui viene incredibilmente concesso il ruolo di energia della transizione, un decreto semplificazioni che non aiuta le rinnovabili e oltre 19 miliardi di sussidi fossili. Tutti elementi che preoccupano non solo me, ma anche associazioni ambientaliste, ecologisti, scienziati, cittadini e imprenditori green. Tanto più vista la difficoltà con cui negli ultimi anni stiamo rafforzando la nostra rete di rinnovabili. Le ultime tre aste per la produzione di nuova potenza da fonti pulite hanno coperto appena il 25% dell’offerta. Di questo passo sarà difficile installare i 70 gigawatt di nuova potenza pulita necessari per raggiungere l’obiettivo europeo della riduzioni di emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030. E questo succede perché la burocrazia rende biblici i tempi autorizzativi scoraggiando gli investimenti, l’Anev ad esempio ha spiegato che per un nuovo progetto servono 25 tra pareri e atti.

C’è ancora una spinta fortissima alla conservazione di quanti, mondo dei fossili in testa, hanno interesse a mantenere lo status quo. Pertanto si capiscono l’allarme e lo stato di mobilitazione a cui chiamano ambientalisti e scienziati italiani. Quanto basta perché alla vigilia della Cop 26, il 29 ottobre, dagli Atenei italiani partirà una mobilitazione per dire che non sono più tollerabili i rimandi e le vuote promesse. (Tutte le informazioni sull’iniziativa, nata a partire da un appello di docenti e personalità dell’ambientalismo italiano come Scalia, sono disponibili a questo link: https://italialibera.online/economia-lavoro/venerdi-29-ottobre-mobilitazione-contro-il-global-warming-e-i-signori-dei-fossili/)  

Sono tre le richieste chiave al governo di questa giornata di azione contro il global warming e i signori dei fossili: non aspettare il 2030 ma fissare una ‘linea del Piave’ climatica al 2025 e traguardare su questo orizzonte sforzi e piani da realizzare; attuare la raccomandazione Ue che venga realizzato entro il 2025 almeno il 40% degli obiettivi energia/clima fissati per il 2030 che per l’Italia significa almeno 28 GW di rinnovabili nei prossimi quattro anni; imporre ad Eni un deciso cambio di rotta e una riduzione delle proprie emissioni di almeno il 25% anticipata dal 2030 al 2025. 

Le società partecipate, infatti, possono e devono essere un punto focale di accelerazione della transizione ecologica. Chiedere, ad esempio, all’Eni di rendere sempre più marginale nei propri piani industriali le fonti fossili e di investire sulle rinnovabili anziché sui progetti di cattura e stoccaggio di CO2, significa avanzare nella giusta direzione e spero che il governo voglia avvalersi anche di questo strumento. Credo anzi che il Governo dovrebbe essere ben più deciso e indirizzare l’Eni verso una reale transizione energetica. Trasformazione che passa necessariamente per un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 congruo con gli obiettivi climatici europei. Anche perché dove lo Stato o le grandi aziende non fanno abbastanza, sempre più spesso arriva la giustizia climatica.  Lo testimoniano la sentenza olandese che ha imposto alla Shell un taglio delle emissioni del 45% al 2030, o la recentissima sentenze del tribunale amministrativo di Parigi che ha stabilito che l’esecutivo dovrà rimediare entro la fine del 2022 alla sua inazione climatica. 

di Rossella Muroni – Ecologista e deputata FacciamoECO