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Transizione ecologica, qual è lo stato di salute dell’ambiente italiano?

Transizione ecologica: report Ispra, dove va l’ambiente italiano?
Foto di Sergei Tokmakov Terms.Law da Pixabay

Una bussola per monitorare la transizione ecologica nei prossimi anni

(Rinnovabili.it) – Risorse marine sotto fortissimo stress. Biodiversità sotto attacco, anche a causa di una penetrazione da record di specie aliene. Il ritorno delle foreste, cresciute fino a ricoprire il 40% dell’Italia, che non è del tutto una buona notizia: gli alberi prosperano nelle aree interne che si spopolano e dove restano in pochi a garantire una gestione capillare del territorio. Ma c’è da rilevare anche la crescita delle aree protette, il calo del 19% delle emissioni di gas serra negli ultimi 30 anni, la riduzione dei principali inquinanti atmosferici. Il rapporto Ispra “Dove va l’ambiente italiano?” fa un check-up dello stato di salute dell’ambiente in Italia alla vigilia del Pnrr: un quadro di riferimento da consultare nei prossimi anni per valutare cosa è cambiato durante la transizione ecologica, e soprattutto qual è l’impatto del pacchetto di investimenti più grande dal secondo dopoguerra.

Fiumi, laghi e mari sono sotto stress

I dati da leggere con più attenzione sono quelli sulle acque italiane, dolci e salate. L’Ispra rileva che solo il 43% dei corpi idrici fluviali è in stato buono o superiore per quanto riguarda il suo stato ecologico. Più di 4 corsi d’acqua su 10 in tutta la penisola sono in uno stato considerato inferiore a ‘buono’. mentre il 41% è inferiore al buono. Quanto alla concentrazione di sostanze inquinanti rispetto ai limiti di legge, il 74% è in buono stato mentre il 7% è in stato chimico scarso. Le acque dolci più inquinate sono concentrate “principalmente nei distretti industriali lombardi, toscani e pugliesi”.

Peggio i laghi. Dei 347 laghi censiti ai sensi della normativa vigente, solo il 20% raggiunge e supera l’obiettivo del buono stato ecologico. Promosse soprattutto Valle d’Aosta e provincia di Bolzano, mentre il 39% dei laghi ha qualità scarsa. Della quota restante – 4 su 10 – non sappiamo nulla: manca il monitoraggio, col risultato che intere regioni sono un buco nero (Friuli, Calabria, Liguria).

Sul versante marino, l’Ispra segnala allarme per la posidonia oceanica, un endemismo mediterraneo che con le sue “praterie” sui fondali rappresenta l’habitat di riferimento per il 25% delle specie marine. Ebbene, da un totale di 300mila ettari, nelle acque italiane la posidonia regredisce soprattutto lungo le coste delle regioni Liguria, Toscana, Lazio e Puglia (-30.000 ettari negli ultimi 20-30 anni) e in Sardegna nei golfi di Cagliari, Olbia e Asinara (-20.000 ettari).

Ma sono quelle marine le risorse gestite nel modo meno sostenibile in assoluto, un vulnus per la transizione ecologica italiana: circa il 90% delle popolazioni di pesci per le quali disponiamo di valutazioni scientifiche sono sovrasfruttate. Preleviamo da 2 a 3 volte di più di quanto è considerato sostenibile. Anche il versante inquinamento non perdona: ci sono in media 00 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia (di cui l’80% è plastica), la soglia UE è di 20.

Gli altri indicatori ambientali per la transizione ecologica

Nel ricco rapporto di Ispra, l’istituto fornisce una panoramica dettagliata dei principali indicatori dello stato di salute dell’ambiente italiano. Per l’inquinamento atmosferico si registra un calo di tutto gli inquinanti ma resta preoccupante il livello di ozono a bassa quota. “Nel 2020, a livello nazionale, l’obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana per l’ozono è stato superato in 286 stazioni su 328, e per più di 25 giorni in 139 stazioni”, si legge nel dossier.

Sul fronte del consumo di suolo, l’Ispra ricorda i primati negativi rispetto alla media europea: il fenomeno continua al ritmo di quasi 60 chilometri quadri l’anno, ovvero 15 ettari al giorno, o 2 metri quadri al secondo. “Per ogni italiano, oggi ci sono circa 360 metri quadri, contro i 160 metri quadri nel 1950, in piena ricostruzione”, nota l’istituto. E avverte: attenzione al consumo di suolo che può derivare dall’installazione di parchi fotovoltaici a terra per raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili stabiliti dal Pniec. Non solo per la superficie occupata dai pannelli ma anche per quella delle infrastrutture collegate necessarie.

Infine i boschi. Le nuove foreste avanzano al ritmo di 60mila ettari l’anno. Dal dopoguerra a oggi la superficie è raddoppiata e oggi l’Italia è prima in Europa. Anche qui, però, occorre cautela nel valutare la tendenza. Alcune tipologie forestali si stanno riducendo e necessitano di particolare attenzione e tutela, avverte l’Ispra: “Sono divenuti ad esempio molto frammentati e rari i boschi umidi e lungo le rive dei fiumi, le foreste vetuste e le preziose formazioni forestali di pianura, sempre più compromesse, destrutturate e ridotte in estensione, minacciate dagli incendi, dall’edilizia e dalle infrastrutture”.

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