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Transizione ecologica, il governo italiano ha perso la bussola?

Dalla proposta di aumentare le estrazioni del gas italiano alla poca chiarezza in tema di tassonomia verde: il percorso governativo verso la transizione ecologica continua ad inciampare

transizione ecologica
via depositphotos.com

di Rossella Muroni

Nella top 10 dei rischi globali manager, banchieri e finanzieri mettono ai primi tre posti il fallimento delle azioni per il clima, eventi climatici estremi e perdita della biodiversità. Lo ha rilevato un recente rapporto del World Economic Forum, secondo cui la crisi climatica rimane la principale minaccia a lungo termine per l’umanità, il mancato intervento sul cambiamento climatico potrebbe ridurre il Pil globale di un sesto e gli impegni assunti alla Cop26 non sono ancora sufficienti per restare entro il grado e mezzo di surriscaldamento globale, ma non è troppo tardi perché governi e  aziende promuovano una transizione innovativa. Tanto più che le rinnovabili, essenziali per decabornizzare l’economia, sono sempre più efficienti e convenienti. Lo dicono i numeri. Nei dieci anni che vanno dal 2009 al 2019 il prezzo dell’energia elettrica generata da solare fotovoltaico è sceso dell’89%, quello dell’eolico a terra del 70%. Quello del nucleare, invece, ha continuato salire.

In questo quadro, di fronte al caro bollette spinto soprattutto da ripresa speculazioni sul costo del gas, i politici italiani invocano giustamente un intervento del governo a tutela di famiglie e imprese. C’è chi vorrebbe un contributo da parte delle imprese energetiche che hanno fatto extraprofitti, come del resto aveva ipotizzato lo stesso Premier Draghi. Molti chiedono uno scostamento di bilancio per sterilizzare i rincari nel breve periodo, pochi aspirano a misure di sostegno improntate al principio di equità e quasi tutti individuano false soluzioni.

Il Ministro della Transizione ecologica, ad esempio, propone l’aumento delle estrazioni del gas italiano, una via non praticabile e non risolutiva visto che le nostre riserve sono ben poca cosa e quand’anche le estraessimo tutte basterebbero per appena sette mesi agli attuali livelli di consumo. E intanto stiamo ancora aspettando l’adeguamento ai nuovi obiettivi climatici europei del Piano energia e clima. Potrebbe essere l’occasione per disegnare una strategia di accelerazione sulla nuova potenza pulita e per definire finalmente di quanto gas abbiamo ancora bisogno come supporto nella transizione, quando pensiamo di smettere di usarlo e di uscire dall’era delle trivelle, ma di questa discussione non c’è traccia.

E la Lega di Salvini propone un surreale ritorno al nucleare. Poco importa se gli italiani si sono già espressi con due referendum, se ancora non abbiamo messo in sicurezza le scorie della passata stagione atomica, se con le attuali tecnologie permangono i problemi di sicurezza sia durante che dopo il funzionamento e se per quelle di nuova generazione bisognerà aspettare almeno fino al 2040. Mentre il governo, senza aver mai preso una posizione chiara o averne discusso in Parlamento, si accoda alla Francia, agli Stati dell’Europa dell’Est e alla Commissione per far entrare gas e nucleare nella tassonomia europea che classifica le attività green. Chi osa indicare la Luna dicendo che il problema è proprio la nostra dipendenza dal gas, o se vogliamo il nostro ritardo sulla transizione energetica, e che la chiave per ridurre costi e speculazioni fossili sono rinnovabili, efficienza, sistemi di accumulo e reti intelligenti, invece, viene accusato di ideologismo.

Come se non bastasse tutto questo nel nostro Paese, a cui sole e vento non mancano, le rinnovabili non crescono più, bloccate dalla lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, dalla discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, dai frequenti dinieghi delle Sovrintendenze, da norme regionali disomogenee e opposizioni territoriali. Ma per centrare gli obiettivi climatici europei – meno 55% di emissioni climalteranti e 72% di elettricità coperta da rinnovabili al 2030 – è fondamentale installare nuova potenza pulita. Calcola Legambiente che per raggiungere i target europei basterebbe che il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo. Peccato però che il Ministro della Transizione ecologica e il Governo si preoccupano soprattutto di gas e trivelle, non di come aiutare l’energia pulita. E senza aver minimamente intaccato i circa 18 miliardi annui ai sussidi fossili, puntano spesso il dito contro i costi della transizione. Non vedendo i benefici di un’economia più circolare ed efficiente in termini di ambiente, salute e nuovo lavoro duraturo e di qualità – Elettricità Futura stima ad esempio 90mila nuovi occupati solo nel settore elettrico – né i costi dell’inazione. Questi sì, sarebbero da lacrime e sangue.

In questi mesi di governo, Cingolani non ha fatto altro che ritardare la transizione, ha sostenuto progetti che vanno esattamente nella direzione opposta: dal sostegno al gas e al nucleare, passando per i tentativi di finanziare con fondi europei o pubblici il progetto Eni di cattura e stoccaggio della CO2 nei fondali al largo di Ravenna e per l’inazione sullo sblocco burocratico per le rinnovabili. Per questo come FacciamoECO abbiamo depositato una mozione di sfiducia individuale al titolare del MiTe e siamo all’opera per raccogliere le 63 sottoscrizioni di deputati necessarie per metterla ai voti in assemblea alla Camera. Sarà un’occasione per fare chiarezza sulla direzione che esecutivo e maggioranza intendono dare la Paese e su quanto davvero ritengano prioritaria la lotta alla crisi climatica.

di Rossella Muroni, ecologista e deputata FacciamoECO