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Gli effetti della guerra sulla transizione ecologica

La guerra in Ucraina ha svelato la dipendenza dell'Italia e di parte dell’Europa, da una fonte energetica, il gas, e da un Paese, la Russia. Le scorse settimane hanno mostrato la fragilità dei percorsi verso la transizione ecologica, e rischiano di mettere in pericolo il percorso avviato negli ultimi anni.

transizione ecologica
via depositphotos.com

di Rita Cantalino

La guerra tra Russia e Ucraina potrebbe avere conseguenze molto gravi sulle politiche messe in campo per avviarci verso la transizione ecologica.

Il nostro Paese dipende dalla Russia circa il 40% del gas che usiamo ogni anno. Lo spettro di questa dipendenza ha comportato la richiesta di soluzioni alternative che potrebbero allontanarci dai nostri obiettivi climatici. Se pare essere scongiurato il pericolo di riapertura delle centrali a carbone, non è stato ancora escluso il riutilizzo di quelle in fase di dismissione. Il percorso di emancipazione dai combustibili fossili e dal gas potrebbe subire una battuta d’arresto a causa della situazione di emergenza.

Da dove viene la nostra energia

L’Italia affida al gas il 41,8% del proprio fabbisogno energetico. Per il 38% di questa quota, pari a 29 miliardi di metri cubi, si tratta di gas russo. Le importazioni sono cresciute negli ultimi due anni: solo nel 2020 compravamo dalla Russia 20 miliardi di metri cubi di gas.

Per emanciparci da questa dipendenza potrebbero servire tre anni. La ricerca è al momento affidata a Eni che, insieme al governo, sta cercando di fare accordi con altri Paesi. L’energia del nostro prossimo futuro potrebbe provenire da Qatar, Algeria, Angola e Congo; secondo il colosso nazionale dell’energia, entro il prossimo inverno potrebbero aiutarci a sostituire circa il 50% del gas russo. 

Ci stiamo tuttavia allontanando dal percorso della transizione ecologica. Le richieste europee sono chiare: entro il 2030 dovremmo ridurre del 55% l’utilizzo di gas climalteranti e passare a fonti di energia pulita. In questo momento quasi il 42% dell’energia che utilizziamo è prodotta dal gas, il 34,4% dal petrolio, mentre il 4,4%, proviene ancora dal carbone. Alle fonti rinnovabili è affidato meno del 20% del nostro fabbisogno energetico.

Le rinnovabili nel nostro Paese

Secondo Our World in Data nel 2019 il 16,3% dell’energia italiana era rinnovabile. Siamo così vicini alla Germania (17,5%) ma superiamo Francia (11,7) e Regno Unito (14,5).

La situazione è in miglioramento. Se dagli anni ‘70 al 2000 le nostre percentuali si attestavano tra il 5 e il 9%, dal 2007 abbiamo iniziato a crescere. Nel 2010 la quota era arrivata al 10%, nel 2014 al 18,5. In quell’anno abbiamo subito una battuta d’arresto, scendendo nel 2017 al 15%, per poi ricominciare a risalire. Anche Francia e Germania hanno migliorato la proprie performance negli ultimi anni: la quota energetica tedesca derivante da fonti rinnovabili è infatti passata dal 2% del 2000 al 17,5 del 2019.

Nel 2021 siamo arrivati al 41,3% di produzione di energia pulita, mentre la Francia si attestava a circa il 22%, il Regno Unito intorno al 40%, la Germania al 40%. Meglio di noi la Spagna, con il 46,2%, mentre Norvegia e Islanda guidano l’Europa: sono in grado di produrre elettricità affidandosi interamente al rinnovabile.

Gran parte delle nostre energie rinnovabili derivano dall’acqua. In Italia ci sono infatti circa 4300 impianti idroelettrici, per lo più di piccole dimensioni (mini-idroelettrico). Sono distribuiti tra le città del Nord del Paese: il 27% in Lombardia, il 15% in Piemonte, il 19% in Trentino Alto Adige, il 6% in Veneto, il 5 in Val d’Aosta, il 3 in Friuli. Questi impianti ci consegnano il 40% dell’energia rinnovabile che produciamo. Al secondo posto dipendiamo dal sole (22%, in crescita negli ultimi 10 anni), al terzo dal vento (15%, solo nel 2000 era meno dell’1%). Le altre fonti insieme completano il quadro con il 22% di energia pulita prodotta.

Con la guerra bisogna accelerare la transizione ecologica e non rallentarla

Negli scorsi anni la crisi causata dal Covid19 è stata vista da molti come un’occasione per accelerare la transizione ecologica. Questa speranza è stata tuttavia disattesa. Di tutte le risorse investite dai Paesi G20 per la ripresa post pandemica, appena il 6% guardava alla produzione di energia rinnovabile.Non possiamo permetterci di fare lo stesso con questa guerra. Il rapporto World Energy Transitions Outlook, presentato nei giorni scorsi dall’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (Irena), prospetta la necessità di investire almeno 5.700 miliardi di euro l’anno per restare entro i limiti fissati dall’Accordo di Parigi. Lo studio afferma che 700 di questi miliardi andrebbero spostati da quelli per i combustibili fossili. Investimenti di questa portata potrebbero inoltre creare 85 milioni di nuovi posti di lavoro in tutto il mondo; l’abbandono del gas ne farebbe perdere solo 12 milioni. E pare che non ci sia più tempo da perdere. Secondo Francesco La Camera, direttore generale dell’Agenzia, “Siamo vicini al momento in cui non sarà più possibile contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi”.