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Transizione ecologica, esiste davvero il problema delle materie prime “critiche”?

Rame, cobalto, nichel, litio e poi neodimio, scandio e le altre terre rare. Da qui al 2050 ne serviranno centinaia di tonnellate per la Transizione ecologica con implicazioni sul piano ambientale, sociale e geopolitico. Ma l’alternativa è proseguire con le fossili. Con questo focus a puntate cercheremo di capire la vera portata del problema (e come se ne esce)

materie prime critiche
Foto di Dominik Vanyi su Unsplash

di Matteo Grittani

(Rinnovabili.it) – Cominciamo dalla fine: chiunque vi dica che non esistono abbastanza materie prime per soddisfare l’enorme domanda che sta per investire il mercato globale ai bagliori della Transizione ecologica, sta sbagliando o vi sta mentendo. A dirlo è una recentissima analisi, la più approfondita fatta finora, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Joule, secondo la quale il Pianeta dispone di molti più metalli, minerali e terre rare di quanti ne servano per mettere a terra tutti gli obiettivi climatici ambiziosi che la comunità internazionale si è data. 

Ora facciamo un passo indietro; come ormai quasi tutti sappiamo, con gli Accordi di Parigi del 2015, i leader mondiali hanno deciso di limitare in tutti i modi il riscaldamento globale a 1.5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Un target complicato per via dell’inerzia con cui il Pianeta continua a scaldarsi a causa delle emissioni di gas serra antropiche. I più critici nei confronti di questo enorme processo di trasformazione che l’umanità dovrebbe attraversare, sostengono tuttavia che la trasformazione necessaria non sarà un pranzo di gala. Posti di lavoro persi, catene del valore e di produzione stravolte e, soprattutto, altre risorse naturali dovranno essere estratte e impiegate per realizzare il mondo 2.0, più green e più sostenibile. Con questo focus a puntate faremo luce su un argomento tanto dibattuto quanto complesso e cercheremo di rispondere in modo chiaro alla domanda che chiunque si interessi a vario titolo a questa tematica si è posto almeno una volta: “abbiamo davvero un problema di materie prime per la Transizione ecologica?”. La risposta, ve lo anticipiamo, è: dipende. Per avere un quadro leggermente più approfondito, vi consigliamo di proseguire nella lettura.

Abbiamo molte più materie prime di quelle che ci servono

Partiamo dall’analisi su Joule, che è un’ottima e recentissima fonte di informazioni. I ricercatori, tra i quali figurano professori di Berkeley, Università della California e MiT di Boston, hanno messo sotto la lente di ingrandimento 17 materiali “chiave” necessari per generare elettricità a bassa intensità carbonica. Un esempio? Il silicio policristallino, di cui è fatta la gran parte dei pannelli fotovoltaici in commercio, la fibra di vetro, così come alcune terre rare, che compongono le pale e i rotori delle turbine eoliche. E poi ci sono “ingredienti” fondamentali di cui l’uomo si serve da decenni per produrre e consumare: alluminio, cemento e acciaio. Lo studio stima con grande precisione la quantità di questi elementi necessaria per costruire infrastrutture verdi e produrre energia sostenibile in grado di soddisfare la domanda futura attesa. Il team di scienziati e ingegneri ha quindi confrontato questa quota con quella presente nelle riserve geologiche, ovvero la massa di materia presente sul Pianeta che può essere recuperata con un ritorno economico. 

Per un mondo green emetteremo in 30 anni la stessa quantità di CO2 liberata oggi dalle fossili in un anno

C’è ancora una premessa da fare: stiamo pur sempre parlando di trasformazioni, flussi di lavoro, di materia e di energia che non si sono ancora verificati nella realtà. Ciò significa che la domanda di materie prime può variare anche di molto, a seconda del tipo di trasformazione che l’umanità deciderà di intraprendere. Una trasformazione più rapida e intensa, oppure un cambiamento graduale e rallentato? La cosa migliore in questo caso è vedere cosa si aspettano gli esperti nel “worst case scenario”. Ecco allora che, per gli obiettivi climatici più ambiziosi fissati oggi, serviranno da qui al 2050 circa 2 miliardi di tonnellate di acciaio e 1,3 miliardi di tonnellate di cemento.

Non solo: la produzione mondiale di disprosio e neodimio – terre rare fondamentali per costruire i magneti delle turbine eoliche – dovrà quadruplicare, mentre il mercato globale di silicio policristallino di grado “solare” (con purezza almeno del 99,9999%, n.d.a.) aumenterà del 150% entro metà secolo. Nonostante queste cifre, secondo il professor Seaver Wang, co-direttore del Breakthrough Institute di Berkeley e primo autore, “stiamo parlando di una minima frazione di materiali presenti nel Pianeta”.

Ok, ma ci saranno conseguenze in termini di emissioni e impatti ambientali? La risposta è ovviamente affermativa: “potremmo raggiungere un totale di 29 Gigatonnellate di CO2 liberate dai processi di estrazione entro metà secolo, con la parte del leone per ricavare silicio policristallino, acciaio e cemento”. Ora dobbiamo capire meglio quanto sia effettivamente questa quota di CO2 liberata che il team guidato da Wang si attende. Innanzitutto, una Gigatonnellata equivale a un miliardo di tonnellate. Ventinove miliardi di tonnellate di CO2 emesse da qui al 2050 sono molte, non c’è dubbio, ma vanno rapportate alle 36,8 che ogni anno la combustione delle risorse fossili libera in atmosfera. In altre parole, per permetterci una completa Transizione ecologica, nel giro di trent’anni dovremmo “spendere” meno di ciò che emettiamo oggi in un solo anno per far funzionare a carbone, gas e petrolio il mondo attuale. “A fronte di questo investimento climatico, le emissioni si ridurrebbero poi di una quantità molto maggiore grazie al passaggio da fonti fossili a quelle rinnovabili e a bassa intensità carbonica”, prosegue Wang

Litio, grafite e cobalto: ne abbiamo in quantità anche per le batterie 

Discorso a parte meritano i materiali di cui avremo bisogno per immagazzinare l’energia. Sappiamo tutti che le fonti rinnovabili hanno il grande limite della non programmabilità e permettono di generare energia elettrica solo quando sono disponibili. Il sistema energetico del futuro dovrà quindi essere flessibile e in grado di allineare il più possibile la domanda con l’effettiva produzione tramite strategie di demand side management e l’impiego di svariate tecnologie di storage. E a farla da padrone qui sono oggi (e saranno sempre di più) le batterie. Per dare un’idea, la domanda di grafite, litio e cobalto, i materiali cardine necessari a costruirle, crescerà esponenzialmente fino al 500% dai livelli del 2018 secondo una analisi della World Bank. Ma anche considerando la domanda di materie prime per le batterie il succo non cambia: “le riserve globali sono ampiamente sufficienti anche per gli scenari in assoluto a più elevata domanda immaginabili oggi”, nota Wang.

Insomma, la lezione da trarre dal paper di Wang e colleghi, è prima di tutto che il mondo non corre nessun rischio di rimanere a corto di materie prime necessarie per la Transizione ecologica. In secondo luogo, non va negato, cambiare completamente il modo di produrre energia e far funzionare la nostra società non avrà impatto zero. Il messaggio più importante, tuttavia, è che la quantità di gas serra che si emetterà per convertire il sistema energetico nel giro di poco meno di trent’anni è estremamente minore di quella che libereremmo continuando a produrre e crescere con i ritmi e le tecnologie fossili attuali. Con le prossime puntate del focus cercheremo di capire di cosa si tratta quando si parla di terre rare e altri materiali critici, quanto costano, dove si trovano e cosa dovremo fare per estrarli in maniera economica e sostenibile.