Intervista a Dario Brambilla, VP Strategic Marketing, Influence & Digital Transformation di Schneider Electric
Una nuova visione di crescita industriale. Capace di coniugare la transizione digitale e quella verde. E tenere insieme sostenibilità e competitività delle aziende. È l’idea che innerva il Piano Transizione 5.0, lo schema di sostegno attivo da agosto che incentiva con 6,3 miliardi di euro gli investimenti privati in beni e attività che promuovono la digitalizzazione e la decarbonizzazione nel settore produttivo.
Quali sono le opportunità che offre Transizione 5.0 e cosa cambia rispetto al paradigma del suo predecessore, il piano di agevolazioni 4.0? Che impatto ha sui progetti di innovazione industriale? Il sistema Italia è pronto per compiere questo salto in avanti? Rinnovabili ne ha parlato con Dario Brambilla, VP Strategic Marketing, Influence & Digital Transformation di Schneider Electric, l’azienda leader nella trasformazione digitale della gestione dell’energia e dell’automazione.
Cosa cambia con l’approccio di transizione 5.0 e quali sono i suoi capisaldi?
La transizione 4.0 ha iniziato un percorso che prevedeva la digitalizzazione delle imprese attraverso l’acquisto di beni che possono essere interconnessi e scambiare dati con il sistema. Con la transizione 5.0 si entra in un concetto più ampio di progettualità. L’azienda deve pensare a un progetto di innovazione il cui scopo è ridurre i consumi energetici.
È un percorso che ha lo scopo di rendere le aziende più competitive e sostenibili: questi sono i due capisaldi del piano. Un binomio che significa imprese più efficienti, veloci, capaci di adattarsi.
Pensiamo, ad esempio, ai tempi legati al cambio formato, cioè la velocità con cui le aziende sono in grado di sostituire il formato del prodotto per adattarsi al cliente verso cui stanno orientando la produzione. Si tratta di tempi oggettivamente morti: tanto più le aziende sono veloci, tanto più riescono a essere produttive e su questo la digitalizzazione può essere un supporto fondamentale.
Competitività e sostenibilità sono anche le parole d’ordine della nuova Commissione UE. La direzione del von der Leyen bis è positiva?
Riteniamo che la strada tracciata con la transizione 4.0 prima e 5.0 poi possa avere un ulteriore sviluppo futuro. Ci sono segnali dall’Europa riguardo a questo percorso di incentivazione. Le linee guida di Ursula von der Leyen per il 2024-2029 parlano delle industrie europee come di asset strategici dell’economia UE. Sulle quali l’UE vuole continuare a fare investimenti, forse ancora più importanti di quelli precedenti. E sempre tenendo al centro il leitmotiv della competitività e sostenibilità.
È il “Clean Industrial Deal” annunciato dalla presidente della Commissione UE.
Si tratta di un programmache, da quanto annunciato, sembra orientato a permettere alle imprese di continuare questi processi di innovazione. Da quanto si può leggere, garantirebbe continuità e assoluta conferma della maggior parte dell’impianto del Green Deal europeo precedentemente definito. In più, avrebbe un’ulteriore forte focalizzazione sulla strategicitià dell’industria UE. Pensiamo che la volontà di supportare le aziende europee nello sviluppo di questi processi di innovazione sia assolutamente positiva, con la prospettiva di rendere le aziende UE e italiane dei competitor di primissimo piano nel mercato internazionale.
Ultimamente però le critiche al Green Deal si moltiplicano.
Essere sostenibili è una necessità. Bisogna rendersi indipendenti dalle fonti fossili per la produzione di energia e orientarsi verso quelle rinnovabili. Ed è una necessità anche perché chi studia i mercati sottolinea che le aziende che hanno già iniziato un percorso di sostenibilità risultano essere quelle più longeve e redditizie, quelle che attraggono grossi investitori e hanno quindi possibilità di fare ulteriori investimenti. E quindi riescono a migliorare la loro competitività.
Covid, tentazioni protezionistiche, guerre. La transizione 5.0 aiuta a gestire l’incertezza?
Negli ultimi anni abbiamo compreso meglio quanto siamo fragili. Pensavamo di muoverci all’interno di un’economia forte con catene di fornitura inattaccabili. Ma più di una volta ci siamo svegliati la mattina e abbiamo scoperto che improvvisamente era cambiato qualcosa. Di fronte a questa incertezza, inevitabilmente, le imprese devono reagire con capacità di essere resilienti e adattarsi ai cambiamenti velocemente. Riadattare le catene di produzione, le fonti di approvvigionamento (incluse quelle energetiche) e i mercati a cui si rivolgono.
Il piano transizione 5.0 come può aiutare in questo? Dà alle imprese la capacità di investire sulla base di un progetto ampio. Un progetto che contempli non solo la singola macchina che, ad esempio, mi permette di costruire 1200 bottiglie rispetto alle 1000 che mi faceva la macchina precedente. Un progetto, cioè, che contempli l’intero processo produttivo. E che permetta di controllarlo meglio, ottimizzarlo, ridurre i consumi. E quindi di risparmiare dal punto di vista energetico.
Tuttavia, forse la tempistica di approvazione del piano non ha aiutato molto le aziende. Il ritardo ha creato delle criticità. Le imprese che hanno atteso, e stanno ancora attendendo, per fare gli investimenti, perché hanno bisogno di comprendere a fondo l’impianto normativo. Ovviamente,capisco l’attenzione posta nella stesura del decreto attuativo: si volevano evitare situazioni analoghe a precedenti incentivazioni sfuggite al controllo, e che hanno creato problemi seri di bilancio.
Ritardi nell’iter a parte, bisognerebbe apportare modifiche al piano?
Come dicevo, capisco che ci sia stata la volontà di esser sicuri che i progetti presentati fossero solidi e potessero venir monitorati. L’unico consiglio che mi permetterei di dare è provare a semplificare alcuni passaggi. Penso alla certificazione ex ante e quella ex post, alle dichiarazioni al GSE, a quelle da presentare in fase avanzamento lavori. Probabilmente ci sarebbe meno preoccupazione da parte dell’imprenditore rispetto alla complessità del percorso.
Va però ricordato che ci sono consulenti sia di finanza agevolata sia energetici che hanno le competenze per accompagnare l’imprenditore. Le imprese, quindi, devono pensare al loro investimento e alla loro idea di sviluppo d’impresa. A partire da qui, insieme ai consulenti, si può poi valutare come l’idea di evoluzione dell’impresa possa rientrare nel processo richiesto dalla 5.0.
Forse gli imprenditori hanno bisogno di essere rassicurati sul fatto che non si tratta di rivoluzionare i processi produttivi ma di farli evolvere. Le tecnologie di transizione 5.0 hanno la capacità di inserirsi all’interno di un processo, recuperare informazioni e abilitare esattamente questo sviluppo. Aumentando competitività dell’impresa ed efficienza. I risultati che vediamo quotidianamente con i nostri clienti lo testimoniano.
Ad esempio?
Penso alla Nicros di Conegliano, un’impresa attiva nel settore delle lavorazioni chimiche e galvaniche. Con l’incentivazione statale ha effettuato il revamping del sistema di distribuzione elettrica e ha aggiornato varie componenti, un po’ obsolete, che potevano creare sganci intempestivi e portare a inefficienze nella produzione. Integrando anche sistemi di monitoraggio dei consumi energetici che ha permesso di monitorare tutti i processi, ottimizzando la produzione e evitando i fermi.
Un altro caso esemplare è il Centro Morrone di Caserta, una struttura di diagnostica, Ha rinnovato i suoi stabili inserendo un sistema BMS (Building Management System) per il monitoraggio dell’intero edificio, ha integrato fotovoltaico, geotermico, sistemi di ricarica per veicoli elettrici e altre tecnologie per la distribuzione dell’energia elettrica. Il risultato è una riduzione dei consumi energetici nell’ordine del 35%. Un valore decisamente importante ma non inconsueto: solitamente i clienti che supportiamo ottengono almeno cali dei consumi del 15%. Il piano transizione 5.0 richiede una riduzione dal 3 al 5%: una mèta assolutamente alla portata delle aziende. Basta avere i giusti compagni di viaggio!