Entro il 2050, la capacità delle tecnologie CDR deve crescere di 1300 volte
(Rinnovabili.it) – La partita della rimozione di CO2 dall’atmosfera si gioca tutta nei prossimi 10 anni. Oggi solo lo 0,05% della capacità globale di rimozione della CO2 viene da tecnologie CDR (carbon dioxide removal). Ma tutti gli scenari emissivi per rispettare le soglie dell’Accordo di Parigi ne prevedono l’uso su scala più o meno ampia, compreso quelli che fanno più affidamento sui tagli di gas serra (classificati come C1 nell’ultimo rapporto Ipcc, l’AR6). Eppure, nei piani per la transizione c’è ancora poco interesse a investire sul serio in questi metodi innovativi per togliere CO2 dall’aria.
Moltiplicare per 1300 la capacità di rimozione delle tecnologie CDR
A quanto ammonta il gap tra le tecnologie CDR necessarie per restare sotto i 2°C e la capacità prevista dai piani climatici attuali? Secondo il rapporto The state of carbon dioxide removal curato dall’università di Oxford, entro metà secolo bisogna raddoppiare la capacità degli ecosistemi (foreste, suoli) di stoccare CO2 ma, soprattutto, moltiplicare per 1.300 la capacità CDR non convenzionale.
Nello specifico, calcola il rapporto, da qui al 2030 c’è bisogno di una capacità aggiuntiva di rimozione di 0,96 miliardi di tonnellate di CO2 (Gt CO2) l’anno rispetto ai livelli del 2020 (la forchetta oscilla fino a 3,4 Gt CO2 a seconda dell’incertezza dello scenario). Ma per il momento, nei Contributi Nazionali Volontari -i piani climatici che ogni paese deposita alla Convenzione Quadro dell’Onu sui Cambiamenti Climatici, l’Unfccc- le promesse arrivano cumulativamente a 0,1-0,65 GtCO2 (contando sia gli Ndc incondizionati sia quelli condizionati).
Il gap lievita se si guarda al fabbisogno di tecnologie CDR al 2050. Entro metà secolo serviranno in media rimozioni aggiuntive, sempre rispetto al 2020, per 4,8 Gt CO2 l’anno (forchetta 0,58-13 Gt CO2). Ma le promesse attuali a lungo termine ne prevedono appena 1,5-2,3 Gt CO2 l’anno.
All’orizzonte 2030, quindi, bisognerà moltiplicare la capacità globale non convenzionale di rimozione della CO2 di un fattore 30 (forchetta da 0 a 540), mentre quella convenzionale di un fattore 1,3. Al 2050, invece, la crescita dev’essere di un fattore 1300 (da 260 a 5400) per le tecnologie CDR e di un fattore 2,7-4,2 per il sequestro di CO2 ottenuto da foreste e suoli.
A che punto siamo?
Il rapporto di Oxford è il primo a stimare la capacità globale di rimozione della CO2: circa 2 Gt CO2 l’anno. Di questo ammontare, solo lo 0,05% arriva da metodi non convenzionali. La fetta preponderante è imputabile invece a riforestazione, afforestazione e strategie sostenibili di gestione delle foreste e dei suoli.
Sul versante delle tecnologie CDR, tra 2010 e 2022 gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo per il settore sono arrivati a 4,1 mld $, di cui la maggior parte sono imputabili agli Stati Uniti per creare un hub di tecnologie per la cattura diretta dall’aria di CO2 (DAC, Direct Air Capture): 3,5 mld $ in tutto. Se Washington spende di più, Pechino è quella più dinamica dal punto di vista dei brevetti (un trend che ormai vale per la maggior parte del côté tecnologico a 360°): nel 2018 la Cina pesava per il 35% dei brevetti globali.
Su cosa si punta di più oggi? La quota maggiore di brevetti riguarda tecnologie CDR per la cattura diretta dall’aria, componente basilare per il DACCS (Direct Air Carbon Capture and Storage), mentre la meno esplorata è la categoria di tecnologie basate sugli oceani (coltivazione di micro e macroalghe, alcalinizzazione dell’acqua, cattura elettrochimica dall’oceano, ecc). Sul fronte degli investimenti, tra 2020 e 2022 il totale globale è di appena 200 mln $ diretti soprattutto a DACCS e biochar.