Secondo Georg Zachmann, membro del think tank Bruegel, capire come gli sforzi climatici saranno condivisi tra gli Stati membri potrebbe essere più importante della percentuale del taglio delle emissioni.
Che differenza c’è tra un taglio delle emissioni del 50% o 55%?
(Rinnovabili.it) – A settembre, la Commissione Europea presenterà le valutazioni d’impatto e l’analisi costi-benefici per aumentare il taglio delle emissioni relativo agli obiettivi climatici europei per il 2030. Come ha sottolineato Vivina Loonela, portavoce dell’esecutivo UE per il Green Deal, l’obiettivo è ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 50% rispetto ai livelli del 1990, puntando verso il 55%.
L’analisi costi-benefici della Commissione sarà oggetto di un attento esame da parte degli Stati membri, particolarmente preoccupati dall’onere economico di obiettivi climatici e un taglio delle emissioni più ambiziosi, specie in un momento in cui la crisi dovuta al coronavirus conduce l’economia UE verso una pesante recessione.
Sulla base dello studio completo, che si prevede sarà molto corposo, l’esecutivo UE deciderà se proporre un obiettivo di riduzione delle emissioni del 50% o del 55% entro il 2030, rispetto al 40% attuale. L’aggiornamento dell’obiettivo climatico dell’UE non solo è il fulcro del Green Deal, ma anche un preciso impegno politico assunto dalla presidente Ursula von der Leyen.
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Ma che differenza c’è tra un taglio delle emissioni del 50% o 55% per il clima e l’economia? Georg Zachmann, membro del think tank Bruegel, ha dichiarato ad Euractiv che “un ulteriore 5% di riduzione corrisponde a circa 280 Mt di CO2 entro il 2030, l’equivalente delle emissioni di tutte le centrali elettriche a lignite o ¼ delle emissioni dei trasporti dell’UE prodotte nel 2019”.
Si tratta, dunque, di una differenza sostanziale che, per quanto preveda considerevoli sforzi, potrebbe rivelarsi un passo in avanti per i paesi dell’Europa orientale, molti dei quali si affidano a industrie inquinanti e temono lo sconvolgimento sociale ed economico causato dalla transizione verde.
Per tale ragione, secondo i governi di Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, la definizione di un’analisi costi-benefici approfondita e realistica è un elemento essenziale per la scelta, sottolineando che la Brexit e la pandemia hanno cambiato radicalmente il contesto economico delle politiche climatiche dell’UE.
Finora, però, la Commissione UE sembra essere più propensa ad optare per un taglio delle emissioni del 55%. Infatti, un obiettivo climatico meno ambizioso per il 2030 richiederebbe tagli delle emissioni più radicali entro il 2050, che non permetterebbero di “ridistribuire in tempo lo sforzo di transizione”, secondo il commissario Frans Timmermans.
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“Agire con ritardo sulla crisi climatica renderà tutto ancora più costoso nei prossimi anni”, ha affermato Loonela. Tra l’altro, secondo alcuni osservatori, lo stesso obiettivo del 55% non sarebbe sufficiente per allineare l’UE con l’accordo di Parigi, che cerca di contenere il riscaldamento globale ad un massimo di +1,5° C.
Secondo Mirjam Wolfrum di CDP Europe, questo impegno richiederebbe un taglio delle emissioni del del 60-65% per il 2030. “Un ulteriore riscaldamento di 0,5° C sarà catastrofico. Potrebbe costare all’economia globale fino a 15 miliardi di miliardi di dollari in impatti climatici aggiuntivi, aggiungere 10 cm all’aumento del livello del mare e moltiplicare di 10 volte la possibilità di un Oceano Artico senza ghiacci in estate”, ha sottolineato Wolfrum.
Tuttavia, secondo Zachmann, “le priorità dei capi di stato e di governo europei si sono chiaramente spostate sulla pandemia di coronavirus. Ciò rende meno probabile un compromesso ambizioso sul clima”. Per Zachmann, l’impatto in termini di occupazione e crescita dipenderà in gran parte dalle misure politiche che verranno applicate in diversi settori: “per un compromesso, capire come gli sforzi saranno condivisi tra gli Stati membri potrebbe essere più importante del livello dell’obiettivo”.