La Spagna guida la pattuglia dei ribelli. Chi ha stoccaggi quasi pieni o dipende poco o nulla dalla Russia storce il naso al taglio lineare del 15% (“non è equo”) in nome di una solidarietà europea che stavolta fa un grosso favore a Berlino. L’Italia dovrebbe tagliare 8 mld m3 di gas, 3 in più di quanto messo in conto dal governo
di Lorenzo Marinone
Il 26 luglio il Consiglio discuterà il piano per il taglio consumi gas
(Rinnovabili.it) – La proposta della Commissione UE per un corposo taglio consumi gas “non è necessariamente la più efficace, né la più efficiente, né la più equa”. Ed è inaccettabile visto che “non ci è stato neppure chiesto un parere preventivo”. L’unica a parlar chiaro e in pubblico è la ministra della Transizione Ecologica della Spagna, Teresa Ribera. Ma tanti altri paesi europei farebbero volentieri a meno del Piano UE sul gas presentato ieri, o lo vorrebbero sbianchettare o almeno limare. Italia inclusa.
Per un pugno di veti
I malpancisti partono da questa recriminazione: la Commissione si è arrogata poteri che non ha. Il taglio consumi gas significa fermare settori industriali, significa perdere posti di lavoro, competitività, Pil. Una decisione che dovrebbe prendere il Consiglio (cioè i Ventisette), non l’esecutivo UE. “Ci sono molti partner europei che stanno attraversando un momento difficile e vedono con enorme preoccupazione l’autunno e l’inverno”, concede Ribera. Quindi la Spagna aiuterà “in modo solidale” gli altri paesi, ma “difendendo tutto il rispetto che meritiamo per l’industria spagnola e per gli spagnoli”, ha aggiunto Ribera.
In realtà il Piano UE sul gas dice chiaramente che la Commissione dichiara lo stato di allerta dopo aver sentito il Consiglio, e solo a quel punto la riduzione del 15% dei consumi diventa obbligatoria. Il punto quindi non è il coordinamento – che c’è – ma chi decide. O meglio, la cosa che preme agli Stati è conservare il loro potere di veto. Dire che a decidere dev’essere il Consiglio significa solo questo: che o il taglio consumi gas passa all’unanimità, o non se ne fa niente.
Evidentemente l’idea che 3 Stati da soli possano chiedere a Bruxelles di far scattare la ghigliottina in tutta l’UE suona raccapricciante alle orecchie di molti. Da un punto di vista tecnico, lo è: l’Unione Europea non è stata costruita per funzionare così, gli equilibri istituzionali sono altri. La Commissione ieri ha provato a fare non solo il direttore d’orchestra, ma anche a scegliere lo spartito e a impostare il metronomo. Una domanda che i Ventisette si devono porre prima di discutere il Piano UE sul gas il 26 luglio, però, è questa: che succede se un paese si mette di traverso e blocca tutto a oltranza – ad esempio l’Ungheria di Orban?
Crepe nella famiglia europea
Certo, il taglio consumi gas lineare – per tutti del 15%, che sia la Germania o il Lussemburgo, che si sia molto dipendenti dalla Russia (come Berlino) o che non lo si sia affatto (come Madrid) – è una misura che fa affiorare tutte le crepe della famiglia europea. Soprattutto quando si invoca, come fa il Piano, una solidarietà europea che questa volta va a beneficio (soprattutto, anche se non solo) di un paese: la Germania.
Difficile, per un paese come ad esempio la Polonia, giustificare ai cittadini lo stop a certe industrie per amicizia verso Berlino: d’altronde, Varsavia ha gli stoccaggi pieni al 98%, si è messa in sicurezza proprio per limitare l’impatto di un inverno freddo e senza gas. Ma anche a Madrid non si sorride: gli stoccaggi sono pieni al 75%, il target dell’80% deciso con il Repower EU è dietro l’angolo.
E l’Italia? Anche se ieri a Roma tutti erano occupati a tener d’occhio Palazzo Madama e il Quirinale, qualche mal di pancia ci dev’essere stato. Tagliare i consumi del 15%, per il Belpaese, significa ridurre di 8 miliardi di metri cubi la domanda. Le misure varate finora dal governo coprono solo 5 mld di m3.