di Andrea Barbieri Carones
Sviluppo delle energie rinnovabili secondo il CCPI 2022
(Rinnovabili.it) – In Italia prosegue a rilento lo sviluppo delle energie rinnovabili, al punto che il paese scende al 30° posto nella graduatoria del Climate Change Performance Index 2022.
Una graduatoria, questa, che ci vede scendere di 3 posizioni anche a causa di una inadeguata politica nazionale in tal senso. Basti pensare, Infatti, che l’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 37% rispetto al 1990.
Questo il dato sconfortante del rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, che in Italia è realizzato in collaborazione con Legambiente.
Nel rapporto si prende in considerazione la performance climatica di 60 paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali.
Come vengono misurati i risultati raggiunti? Attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), che prende come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Questo indice si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
E non deve servire da alibi il fatto che le prime tre posizioni della classifica non siano state attribuite. Già, perché nessuno dei paesi ha raggiunto i numeri necessari per fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C.
Anche se formalmente sul podio non ci sono vincitori, in testa alla classifica ci sono comunque i Paesi scandinavi. Ossia quelli messi meglio nella maratona verso zero emissioni. Danimarca, Svezia e Norvegia, infatti, si posizionano dal quarto al sesto posto, grazie soprattutto al loro grande impegno per lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Performance climatiche: migliorano gli Usa, peggiora la Cina
Rimandati – o anche bocciati – i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia.
Laconico il commento di Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente. “Il peggioramento in classifica dell’Italia deve rappresentare un campanello d’allarme. Che sancisca una inversione di rotta”.
Legambiente punta il dito contro il Pniec (il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030) che deve essere subito aggiornato. “Sì, perché bisogna subito ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030. In linea quindi con l’obiettivo di 1,5°C in meno”.
Questo significa che occorre andare ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal Pnrr e mettere in soffitta il carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas.
“L’Italia ha a disposizione 70 miliardi, allocati dal Pnrr per la transizione ecologica, da investire per superare la crisi pandemica e fronteggiare l’emergenza climatica. Questo attraverso una ripresa verde fondata su un’azione climatica ambiziosa, in grado di colmare i ritardi del Pniec”.
La classifica Germanwatch indica che la Cina scivola di quattro posizioni al 37° posto. Questo avviene nonostante lo sviluppo delle rinnovabili.
Ma le sue emissioni continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e per la scarsa efficienza energetica del suo sistema produttivo. Ancora più indietro si piazzano gli Stati Uniti, che occupano la 55a posizione, comunque in miglioramento rispetto al 2021.
Tra i paesi del G20, solo Regno Unito, India, Germania e Francia si posizionano nella parte alta della classifica.
E l’Unione Europea? Scivola di sei posizioni al 22° posto, soprattutto per la pessima performance di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, che si posizionano in fondo alla classifica.