Prima (piccola) sforbiciata per gli incentivi alle fossili
(Rinnovabili.it) – Non è un mistero che l’Italia spenda cifre consistenti per supportare le fonti fossili. Sono quelli che in gergo vengono chiamati Sussidi ambientalmente dannosi (SAD), incentivi e leve fiscali che oggi supportano progetti e risorse con un impatto negativo su clima e/o l’ambiente. Nel 2020 la cifra superava i 34 miliardi euro. Ben sopra a qualsiasi aiuto fornito alla controparte rinnovabile. Eppure ridurre questa spesa “anti transizione” dell’Italia sembra un’impresa quasi impossibile. Ci ha provato da ultimo anche il Dl Sostegni ter, inserendo il taglio dei SAD tra le misure salva bollette.
Ma se sul comparto delle energie pulite il Governo non ha avuto paura a calcare la mano, sulle fonti “sporche” l’intervento è stato abbastanza leggero e contenuto. Delle 51 voci totali che oggi costituiscono i sussidi ambientalmente dannosi, ne sono state incluse solamente quattro. Interventi non privi di importanza ma che a conti fatti incidono pochissimo sulle bollette. E anche sulla protezione ambientale.
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I sussidi ambientalmente dannosi
Nel dettaglio il Dl Sostegni ter prevede che vengano soppresse le facilitazioni fiscali introdotte nel 1995 a due prodotti energetici in particolare. Parliamo dell’aliquota al 30% per le accise sui carburanti impiegati nei trasporti ferroviari di passeggeri e merci e l’eliminazione delle imposte sulla produzione di magnesio da acqua di mare. Il provvedimento elimina anche la riduzione delle accise, introdotta nel 2015 sui prodotti energetici per le navi “che fanno esclusivamente movimentazione dentro il porto e manovre strumentali al trasbordo merci all’interno del porto”.
Infine il testo esclude l’impiego delle risorse del Fondo per la crescita sostenibile per progetti di ricerca, sviluppo e innovazione nei settori del petrolio, del carbone e del gas naturale. Misure che confrontate ai 34 miliardi sopra citati, offrono ad oggi ben poco aiuto.
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