(Rinnovabili.it) – Un anno fa, alla COP26 di Glasgow, i problemi erano iniziati subito, quando in Scozia erano atterrati più jet privati che promesse di tagli alle emissioni. Il summit sul clima di quest’anno ha fatto anche peggio. I delegati hanno passato una notte intera (e un pezzo di mattina) a litigare – su un punto fondamentale – prima ancora che la COP27 iniziasse ufficialmente.
L’impasse sui dibattutissimi Loss & Damage
Su cosa si sono accapigliati i rappresentanti dei 196 paesi che aderiscono all’Unfccc, la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, e gestiscono il processo diplomatico imperniato sulle COP? Sull’agenda della COP27 di Sharm el-Sheikh. Un punto in particolare: un sotto-capitolo del dossier finanza climatica conosciuto come “Loss & Damage” cioè perdite e danni.
Il nome è oscuro ma il concetto che esprime è molto semplice: si tratta del denaro che i paesi più ricchi dovrebbero versare ai paesi più vulnerabili per compensare l’impatto della crisi climatica. Questi paesi sono colpiti in modo particolare dal riscaldamento globale e hanno economie che spesso finiscono devastate da eventi climatici estremi. Tutto questo nonostante abbiano contribuito molto poco all’aumento globale della temperatura, al contrario dei paesi più ricchi che sono responsabili di quote più grandi delle emissioni storiche.
Insomma, se c’è un dossier che lega insieme azione per il clima, giustizia climatica e ricalibratura dell’ambizione necessaria per rispettare Parigi, è proprio quello dei Loss & Damage. E per questo motivo è al centro di un braccio di ferro da mesi.
Da un lato della barricata, i paesi più ricchi temono che dire sì alla creazione di una Loss and Damage Finance Facility (la cassa per questi fondi) e di un meccanismo per raccoglierli e redistribuirli equivalga a scoperchiare il vaso di Pandora. Quindi frenano da anni, anche se questi strumenti (e il principio che incarnano) sono previsti dall’accordo di Parigi.
Dall’altro lato della barricata, i paesi meno sviluppati premono per istituirli e affrontare la transizione ecologica partendo alla pari con tutti gli altri. Finora hanno ricevuto solo i (meno di) 100 mld $ l’anno in finanza climatica, in gran parte per misure di mitigazione invece che di adattamento. Un’inezia rispetto alla quantità di denaro che sarebbe necessaria.
Ventisei (26) parole
Ebbene, cos’è successo qualche ora prima che la COP27 avesse inizio? Sabato pomeriggio i delegati nazionali hanno iniziato a discutere i punti inclusi nell’agenda dei lavori. Quest’anno, per la prima volta in assoluto, nel documento ufficiale hanno trovato spazio anche i Loss & Damage. Non era scontato, anzi è il risultato di mesi e mesi di pressioni da parte dei paesi più vulnerabili. E già in questo primo incontro chi vuole remare contro ha iniziato a darsi da fare.
Alcuni delegati hanno provato prima a lasciare fuori dall’agenda il capitolo delle perdite e i danni. Questo avrebbe dato loro la scusa perfetta, per le prossime due settimane, per rimandare ancora una volta la discussione. E al massimo a parlarne nei corridoi in via informale. In nessun modo la decisione finale del summit sul clima ne avrebbe quindi fatto cenno. Viste le resistenze di buona parte dei delegati, la battaglia si è spostata sull’esatta dizione del punto inserito in agenda. Come in tutte le riunioni della diplomazia internazionale, la singola parola conta molto e può indirizzare l’esito di un intero processo negoziale, specie quando – come alla COP27 – la fiducia tra le parti è ai minimi. Alla fine il tentativo è andato a vuoto, ma ci sono volute molte ore solo per trovare un accordo su questo punto dell’agenda, l’8 f): “questioni relative alle modalità di finanziamento per rispondere alle perdite e ai danni [loss and damage] associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, compreso un focus sull’affrontare le perdite e i danni”. Così inizia la COP27: con mezza giornata per discutere di 26 parole (nella versione originale in inglese) su cui, in teoria, c’era già accordo da mesi.
È abbastanza? Niente affatto, avverte Climate Action Network. “Gli accordi di finanziamento per le perdite e i danni sono ora all’ordine del giorno, ma il rischio di ritrovarsi ancora una volta con un guscio vuoto è reale. I parametri adottati ieri non soddisfano le richieste dei Paesi in via di sviluppo né le esigenze dei paesi più vulnerabili”, scrive l’ong nella newsletter ECO con cui commenta quotidianamente i lavori del summit sul clima di Sharm el-Sheikh. “Sebbene l’agenda richieda una decisione entro il 2024, ciò non significa che ci si possa rilassare. È assolutamente necessario prendere una decisione entro la fine di questa COP sull’istituzione di un meccanismo finanziario per le perdite e i danni, definendo già i parametri di base per questo nuovo strumento. Le funzioni, la governance e le modalità di erogazione di tali finanziamenti possono essere messe a punto non più tardi e, idealmente, molto prima della fine del 2024, in modo che lo strumento inizi a funzionare subito dopo”.