Un accordo sul phase out “ci farebbe tornare nelle caverne”, ha detto al-Jaber
(Rinnovabili.it) – La richiesta di decidere lo stop delle fonti fossili “non è supportato dalla scienza”. Lo ha detto il presidente della Cop28 di Dubai, l’emiratino Sultan al-Jaber, durante una videoconferenza pubblica pochi giorni prima della conferenza sul clima. La dichiarazione è circolata ieri e ha alimentato i dubbi sulla trasparenza e l’onestà della presidenza di turno della Cop. Il primo summit sul clima a essere guidato da uno dei massimi esponenti dell’industria oil&gas: al-Jaber, infatti, è anche il numero 1 di ADNOC, la compagnia statale emiratina del petrolio, e una delle compagnie fossili con i più corposi piani di investimento nello sviluppo futuro di nuovi giacimenti.
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Cosa ha detto il presidente della Cop28
“Non esiste alcuna scienza, né alcuno scenario, che affermi che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili sia ciò che permetterà di raggiungere l’1,5°C”, ha affermato al-Jaber rispondendo a Mary Robinson, l’ex inviata speciale per il clima delle Nazioni Unite e una degli architetti dell’Accordo di Parigi. “Mostrami la tabella di marcia per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili che consentirà uno sviluppo socioeconomico sostenibile, a meno che tu non voglia riportare il mondo nelle caverne”, ha rincarato la dose al-Jaber.
Una posizione che sembra seppellire ogni possibilità di inserire il phase out dei combustibili fossili nella decisione finale della conferenza sul clima Cop28.
Cosa dice la scienza
Affermazioni che non corrispondono con gli scenari delineati dalla scienza del clima e dalle principali agenzie internazionali.
Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres lo ripete da anni, e negli ultimi mesi con sempre più insistenza. Basandosi sui rapporti delle principali agenzie del Palazzo di Vetro, a partire dall’UNEP. Ancora il 1° dicembre, aprendo i lavori della Cop28, Guterres ha detto che “la scienza è chiara: il limite di 1,5°C è possibile solo se alla fine smetteremo di bruciare tutti i combustibili fossili. Non ridurre, non abbattere. Eliminazione graduale, con un calendario chiaro”.
È lo stesso messaggio lanciato dal rapporto Production Gap Report che l’UNEP ha pubblicato all’inizio di novembre. Ai ritmi attuali, si legge nel documento, nel 2030 produrremo il doppio di combustibili fossili rispetto ai volumi compatibili con il rispetto della soglia degli 1,5 gradi. Per non sforarla, secondo l’UNEP serve “una riduzione combinata della produzione e dell’uso di petrolio e gas di tre quarti entro il 2050 sui livelli del 2020, come minimo”. E per mettersi sulla traiettoria corretta serve un accordo globale sul phase out alla Cop28.
Sulla stessa linea d’onda anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA). Nell’aggiornamento della sua roadmap per emissioni nette zero entro il 2050, uno dei rapporti ritenuti più equilibrati e realistici anche da buona parte dell’industria fossile, quest’anno l’IEA scriveva che per centrare 1,5°C bisogna interrompere immediatamente qualsiasi nuovo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas. Il che coincide con l’idea di un phase out, anche se la rotta tracciata dall’Agenzia prevede ancora un ruolo per le fossili a metà secolo.
Lo stop fonti fossili è ancora un’opzione
Le parole di al-Jaber hanno un peso enorme sullo svolgimento dei negoziati. Per una ragione “tecnica”: è la presidenza di turno a preparare e proporre agli stati le bozze della decisione finale del vertice. E può decidere liberamente cosa metterci dentro e cosa lasciar fuori.
In teoria, la presidenza sarebbe tenuta a preparare delle bozze che riflettano le posizioni espresse dai paesi, cercando di arrivare a compromessi accettabili per tutti. Il processo delle Cop, infatti, funziona per consenso, perciò ogni stato ha, di fatto, il diritto di veto. Nelle bozze, quindi, molto spesso sono contenute più opzioni alternative, inserite tra parentesi quadra. È su queste opzioni che poi si lavora durante i negoziati.
Attualmente, l’ultima bozza del testo presenta ancora entrambe le opzioni possibili: sia il phase out, cioè l’eliminazione graduale, che il phase down, ovvero la riduzione graduale. Ma non è improbabile che, nonostante decine di paesi chiedano il phase out, nei prossimi giorni la presidenza emiratina decida di eliminare questa alternativa, presentando il phase down come unico compromesso possibile. D’altronde, l’anno scorso alla Cop27 la presidenza egiziana si rifiutò direttamente di inserire il phase out come opzione nel testo, anche se lo chiedevano quasi 100 stati sui poco meno di 200 che partecipavano al vertice.
Verso un phase down della produzione entro il 2030?
Che questa sia una possibilità concreta lo dicono anche le mosse compiute dagli Emirati in questi giorni. Il 1° dicembre, gli EAU insieme all’IEA hanno presentato i risultati del dialogo di alto livello condotto nelle settimane precedenti l’avvio della Cop28. Si tratta di una sorta di primo compromesso possibile sui dossier principali in discussione al vertice.
E il documento parla esclusivamente di phase down. Anche se va oltre le posizioni sostenute dai paesi che premono solo per una riduzione, perché specifica che deve riguardare anche la produzione, non solo il consumo. E che il calo produttivo deve avvenire entro il 2030.