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Stop al Nord Stream: come si stanno preparando i paesi europei?

Sicurezza energetica UE: la ricetta per non incatenarsi di nuovo al gas
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Lo spettro di uno stop al Nord Stream prolungato

(Rinnovabili.it) – Tra 10 giorni l’Europa saprà verso che tipo di inverno sta andando incontro. Non per le previsioni meteo ma per quelle dell’approvvigionamento del gas. Da oggi e fino al 21 luglio, infatti, è previsto lo stop al Nord Stream per lavori di manutenzione ordinaria. Succede ogni anno dal 2011, quando è entrato in servizio la pipeline che trasporta 55 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia alla Germania passando sul fondale del mar Baltico. Oggi, però, il timore di molti osservatori è che il Cremlino non riaprirà più i rubinetti, prolungando il periodo di revisione per far cambiare idea all’Europa sull’aiuto a Kiev. E creando problemi non da poco ai paesi UE per gli stoccaggi.

Cosa succede allo stoccaggio in caso di stop al Nord Stream?

Timori ben fondati, visti i precedenti. Da settimane c’è già stato uno stop al Nord Stream, anche se parziale, con il gasdotto che ha lavorato al 40% della sua capacità. L’obiettivo europeo sullo stoccaggio gas, indicato dal piano RePower EU, è di raggiungere almeno l’80% della capacità di storage entro fine ottobre, la soglia considerata “di sicurezza”. Ma con i flussi dalla Russia ridotti, questo traguardo è molto complicato da raggiungere.

Secondo gli analisti di Wood Mackenzie e di Rystad Energy, in caso di stop al Nord Stream non solo l’Europa non sarebbe in grado di riempire gli stoccaggi al livello desiderato, ma non riuscirebbe neppure ad andare oltre i livelli attuali, cioè il 61,63% della capacità (dati del 9 luglio). L’Italia e la Germania, i due paesi con la maggior capacità di storage, arrivano al 63% ciascuno. Anche se, il 21 luglio, la Russia togliesse lo stop al Nord Stream, tenendo i flussi al 40%, secondo i calcoli degli analisti non si arriverebbe comunque molto oltre il 69%. Questa seconda opzione è più probabile per gli analisti di Goldman Sachs, visto che Mosca non ha reindirizzato altrove il suo gas.

Come si stanno preparando i paesi europei?

Nel frattempo, tutti i paesi europei hanno iniziato a prendere delle contromisure per limitare l’impatto di uno stop al Nord Stream prolungato se non tombale.

La Germania è ufficialmente entrata nella fase 2 del suo piano di emergenza per il gas annunciato dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Il prossimo passo prevede il razionamento. In questa fase, invece, Berlino metterà una linea di credito da oltre 15 mld di euro a disposizione dei provider di gas per evitare lo stop agli stoccaggi visti i prezzi. Uno stop al gasdotto, infatti, dovrebbe far schizzare in alto il costo del gas, mettendo in estrema difficoltà aziende già duramente provate dai numeri degli ultimi mesi.

L’ad di Uniper, il maggior importatore di gas in Germania, è stato cristallino: “L’unico modo di evitare bollette del gas più alte è usare meno gas”. Una dichiarazione resa venerdì scorso, mentre il Bundestag approvava uno strumento che permette agli operatori di scaricare una parte degli aumenti del costo dell’energia sui consumatori, anche se questi ultimi hanno contratti con tariffe vincolate a prezzi della materia prima molto più bassi di quelli di oggi (in genere, annuali). Lo strumento è approvato, ma non ancora in vigore: Berlino, per il momento, scegli di non attivarlo.

Berlino ha poi dato uguale importanza alla ricerca di fornitori di gas alternativi – e alla relativa costruzione di nuove infrastrutture per l’import di Gnl – e al risparmio energetico. Sul primo fronte, oltre a aumentare la produzione di elettricità dal carbone, la Germania si doterà di una serie di FSRU ma, ovviamente, con tempi non immediati, mentre esponenti del governo hanno stretto accordi di fornitura con nuovi partner, tra cui il Qatar. Sul secondo fronte, il governo ha lanciato da qualche giorno un sistema di incentivi per i provider che premia il risparmio di gas.

Per l’inverno, su scala locale, tra le misure che le autorità possono prendere c’è la riduzione dell’illuminazione pubblica, ma anche l’allestimento di dormitori pubblici per le famiglie che non riuscissero a pagare le bollette del riscaldamento, riconvertendo le strutture usate per l’emergenza Covid. Vonovia, il maggior proprietario immobiliare del paese, ha fatto sapere agli inquilini che in inverno potranno portare la temperatura interna a 17°C solo tra le 23 e le 6 del mattino.

Anche la Francia, che dipende dal gas russo solo per il 17% del suo energy mix (ma sta avendo non pochi problemi con le sue centrali nucleari), sta spingendo sul tasto del risparmio di gas. L’obiettivo, attraverso una serie di misure, è di ridurre il consumo energetico del 10% in 2 anni. Inoltre, Parigi ha chiesto anche agli operatori dei centri di stoccaggio di acquistare gas – aiutando così i provider – dietro una garanzia finanziaria dello stato. Sul medio periodo, i rigassificatori passeranno da 4 a 5, con quello nuovo previsto per settembre 2023.

Molti paesi torneranno al carbone o cercheranno di puntare su combustibili alternativi. La Grecia convertirà a diesel 4 centrali a gas, mentre la Repubblica Ceca è pronta a permettere anche alle centrali a carbone più inquinanti di lavorare a pieno regime infrangendo i limiti emissivi in vigore. Stessa linea d’azione per l’Olanda, che sta anche valutando di riprendere l’estrazione di gas dal bacino di Groeningen (nonostante il rischio sismico).

L’Italiaa cui da oggi arriva 1/3 del gas russo in meno, 21 mln di m3 invece di 32 – oltre a diversificare le importazioni (utile, ma non nel breve termine) ha approntato delle misure di risparmio energetico per industria e cittadini che potranno scattare se il governo decreterà l’attivazione del secondo (su tre) livello di allarme. Già in vigore invece le misure che limitano l’uso di condizionatori e pompe di calore a 27°C in estate e 19°C in inverno. Nel frattempo, le centrali a carbone italiane stanno già producendo il doppio (l’8% del fabbisogno nazionale) rispetto a qualche mese fa.

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