Diventerà il sito di riferimento del Mediterraneo per lo stoccaggio geologico permanente della CO2. Contribuendo, grazie alla sua capacità stimata in oltre 500 milioni di tonnellate, a decarbonizzare l’industria hard to abate. Sia quella italiana, sia, in prospettiva, quella europea. È l’obiettivo del progetto Ravenna CCS di Eni, sviluppato in una joint venture paritetica con Snam, che convertirà i giacimenti di gas esausti dell’Alto Adriatico in siti per lo stoccaggio di CO2 industriale. Il primo impianto del suo genere in Italia (e nell’intero Mediterraneo) ha annunciato l’avvio delle attività il 3 settembre e, una volta a regime, sarà in grado di accogliere 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno entro il 2030.
“La cattura e lo stoccaggio della CO2 è una pratica efficace, sicura e disponibile fin da ora per abbattere le emissioni delle industrie energivore le cui attività non sono elettrificabili”, sottolinea Claudio Descalzi, ad di Eni. Finora, il progetto sta garantendo livelli di efficienza molto elevati: l’abbattimento della CO2 in uscita è superiore al 90%, con punte fino al 96%, e in condizioni complesse (concentrazione di carbonio inferiore al 3% ed a pressione atmosferica).
“Noi utilizziamo i nostri giacimenti esauriti, le nostre infrastrutture esistenti e il nostro know-how nelle tecniche di reiniezione per offrire un servizio molto competitivo per il quale stiamo riscuotendo un grandissimo interesse. Passo dopo passo stiamo affrontando la complessità della transizione energetica con grande concretezza, accrescendo e valorizzando le soluzioni a nostra disposizione per decarbonizzare noi stessi e i vari ambiti dei sistemi economici e industriali – dalle rinnovabili ai biocarburanti, dalla CCS alla chimica sostenibile – con costante attenzione alla competitività economica e alla domanda reale di chi l’energia la deve utilizzare per lavorare e produrre”, continua Descalzi.
Il ruolo della CCS nella transizione energetica
L’hub di Ravenna renderà l’Italia protagonista nel panorama europeo della Carbon Capture & Storage (CCS), ovvero il processo di cattura della CO2 generata dai processi industriali, il trasporto e lo stoccaggio permanente in depositi geologici. Una soluzione che, benché stia ancora muovendo i primi passi in termini di progetti concreti e su larga scala, appare fondamentale per la transizione energetica.
Secondo l’ultimo rapporto del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) pubblicato nel 2021-23, il ricorso alla CCS è necessario sostanzialmente in tutti gli scenari emissivi che permettono di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5°C o di superarla di pochi decimali e solo per alcuni decenni.
Inoltre, la possibilità di stoccare la CO2 in depositi geologici è un’opzione valida per abbattere, già nel breve termine, l’impronta emissiva dell’industria ad alta intensità energetica per cui le soluzioni di elettrificazione non sono sufficienti, come il settore del cemento, della carta, della ceramica, del vetro e dell’acciaio. Settori da cui, in Italia, origina circa il 70% delle emissioni industriali, mentre a livello mondiale cemento e acciaio da soli pesano per il 14% dei gas serra.
Secondo la Roadmap to Net Zero dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, aggiornata nel 2023, CCS e altre tecnologie per la rimozione della CO2 possono contribuire a tagliare le emissioni globali dell’8% entro il 2030. I progetti annunciati sullo storage e il trasporto di CO2 arrivano, in totale, a oltre 600 milioni di tonnellate l’anno entro la fine di questo decennio, e hanno visto un’accelerazione nel corso dell’ultimo anno. Volumi che, secondo l’Agenzia, non sono però ancora sufficienti per allinearsi alla traiettoria verso emissioni nette zero, che richiederebbe rimozioni e stoccaggio di CO2 per 1.000 milioni di tonnellate entro il 2030.
Lo stoccaggio di CO2 in una prospettiva europea
Per queste ragioni, l’Unione Europea negli ultimi anni si è dotata di una strategia per la gestione del carbonio industriale (presentata il 6 febbraio 2024) e ha supportato il finanziamento e lo sviluppo di grandi progetti transfrontalieri per lo stoccaggio di CO2 in depositi geologici. Provvedimenti volti a creare un quadro chiaro e prevedibile per gli investitori. E a superare uno degli ostacoli che più frenerebbero l’implementazione e la fattibilità economica di progetti di stoccaggio della CO2, ovvero iniziative di poco respiro che restano dentro i confini nazionali.
L’Industrial Carbon Management Strategy, proposta dalla Commissione UE in parallelo agli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni al 2040, è strutturata intorno a tre obiettivi. Al 2030, la capacità di cattura e stoccaggio di CO2 in Europa deve arrivare a 50 milioni di tonnellate l’anno. Entro il 2040, il volume di CO2 catturata dovrà salire a 280 milioni di tonnellate l’anno. Contestualmente, lo sviluppo di un’economia della CCS industriale dovrà permettere alla maggior parte delle catene del valore su suolo europeo di diventare economicamente sostenibili. Per raggiungere l’obiettivo, l’UE punta a strutturare un mercato unico della CO2. Infine, al 2050 l’UE prevede una capacità complessiva di 450 milioni di tonnellate l’anno.
Ravenna CCS: il progetto ai raggi x
Per raggiungere questi obiettivi, Eni e Snam hanno fissato una tabella di marcia che prevede uno sviluppo incrementale in tre fasi. La fase 1, che ha preso il via oggi, consiste nell’avvio delle operazioni di iniezione di CO2 nel sito di stoccaggio permanente presso il giacimento esausto di gas di Porto Corsini mare ovest, al largo di Ravenna. Qui confluiranno, in questa fase, fino a 25.000 tonnellate di CO2 l’anno, provenienti dalla centrale a gas di Casalborsetti di Eni.
Nei prossimi anni, con l’avvio della fase 2, l’hub arriverà a uno stadio di sviluppo su scala industriale. La previsione è di riuscire a stoccare 4 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, in linea con la cifra indicata nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima dal governo italiano come obiettivo nazionale sulla CCS al 2030. Nel periodo successivo al 2030, Ravenna CCS potrebbe aumentare ulteriormente la capacità di stoccaggio annuale, portando i volumi complessivi a più di 16 milioni di tonnellate l’anno, in base alle richieste provenienti dal mercato.
In questo percorso, Eni metterà a disposizione i propri giacimenti di gas esauriti nell’Alto Adriatico e parte delle infrastrutture già esistenti (come la stazione di pompaggio di Casalborsetti), riconvertendoli in siti per lo stoccaggio di CO2 permanente e iniettando l’anidride carbonica nel sottosuolo a oltre 2500 metri di profondità sotto il fondale marino. Snam, invece, si occuperà dello sviluppo dell’infrastruttura di trasporto dell’anidride carbonica. Laddove possibile riutilizzando la rete esistente con interventi di retrofit per adeguarla al trasporto di CO2.
Le ricadute sul territorio dell’hub CCS di Ravenna
Con l’entrata in funzione di Ravenna CCS, l’Italia guadagna non solo una nuova prospettiva per la decarbonizzazione del suo comparto industriale, ma anche una sponda per rafforzare la competitività e garantire l’occupazione.
Il progetto di Eni e Snam, infatti, contribuirà a preservare la competitività dei settori hard to abate in Italia (acciaierie, cementifici, chimica, carta, vetro), che rappresentano 94 miliardi di euro di valore aggiunto (il 5% del Pil italiano) e 1,25 milioni di occupati (il 4,5% della forza lavoro nazionale). Settori che, al tempo stesso, emettono 63,7 milioni di tonnellate di CO2, di cui il 22% connesse intrinsecamente al processo produttivo e che non sono evitabili attraverso l’elettrificazione, stimava uno studio di The European House – Ambrosetti pubblicato nel 2023.