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Stiamo chiedendo tagli al carbone irrealistici a Cina, India, Sudafrica?

Phase out del carbone: la Repubblica Ceca lo fissa al 2033
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I modelli previsionali del clima sbagliano sui tagli al carbone, sostiene uno studio su Nature Climate Change

(Rinnovabili.it) – I tagli al carbone richiesti dai modelli previsionali sul clima per restare sulla traiettoria degli 1,5°C non sono realistici. Non per tutti: solo per i paesi emergenti e in via di sviluppo come Sudafrica, India e Cina (Pechino ufficialmente è ancora classificata in questo gruppo di paesi). Il ritmo con cui dovrebbero dire addio alla fonte fossile più inquinante è ben più elevato di quello che i paesi ad economia avanzata siano mai riusciti a raggiungere.

Il problema? Un bias -anche a livello inconscio- da parte di chi costruisce questi modelli. Che rende meno sensibili alla fattibilità pratica di un cambiamento sistemico quando questo non riguarda da vicino il proprio paese. Lo afferma uno studio apparso su Nature Climate Change e curato da International Institute for Sustainable Development di Ginevra e University College London.

Tagli al carbone due volte più veloci

“Nei percorsi IPCC che limitano il riscaldamento a 1,5°C, la produzione globale di energia elettrica da carbone diminuisce rapidamente a causa della sua intensità di emissioni e della sua sostituibilità”, spiegano gli autori.

“Tuttavia, abbiamo scoperto che nei paesi fortemente dipendenti dal carbone – Cina, India e Sudafrica – questo si traduce in un declino nazionale due volte più rapido di quello raggiunto storicamente per qualsiasi tecnologia energetica in qualsiasi Paese, in relazione alle dimensioni del sistema. Ciò solleva questioni di fattibilità socio-politica”.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il 6° Assesment Report – Working Group III, per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C servono tagli al carbone del 75% tra il 2020 e il 2030. Ancora più rapido il ritmo se si guarda il solo settore energetico. Qui, la riduzione di elettricità generata dal carbone deve scendere dell’88% a livello globale. Lo studio confronta questi ritmi con quelli più rapidi mai sostenuti: l’addio al petrolio della Corea del Sud con la crisi del greggio del 1973 e la transizione degli Stati Uniti grazie al boom del fracking negli anni ’10 di questo secolo.

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