Rinnovabili • Società energetiche Rinnovabili • Società energetiche

Taglio delle emissioni: la lotta per gli investimenti delle grandi società energetiche

Per raggiungere i loro obiettivi climatici, le grandi compagnie petrolifere dovranno inseguire un pool relativamente piccolo di risorse rinnovabili, in concorrenza con le grandi società di servizi pubblici.

Società energetiche
Credits: Niek Verlaan da Pixabay

Le principali società energetiche potrebbero avere difficoltà nell’acquisizione di asset rinnovabili

(Rinnovabili.it) – Appena 10 anni fa, le principali società energetiche del mondo spendevano miliardi di dollari in programmi di perforazione, spinti dall’incessante bisogno di produrre più petrolio e gas. Ma dopo il crollo del prezzo del barile nel 2014 e le conseguenze economiche della crisi pandemica, si assiste ad un’inversione di rotta: oggi, le principali compagnie petrolifere si preparano a spendere miliardi in risorse energetiche rinnovabili. Tuttavia, il record di acquisizioni del settore è una bandiera rossa per alcuni investitori.

Il crollo dei prezzi del petrolio dovuto al covid-19 ha costretto le grandi aziende a cancellare miliardi di dollari dal valore delle loro attività, colpendo le entrate al punto che le società hanno assunto debiti per garantire i pagamenti agli azionisti. Shell, ad esempio, ha tagliato 16,8 miliardi di dollari dal valore delle sue attività e, nel complesso, le principali società energetiche del mondo hanno registrato svalutazioni di asset per un totale di 60 miliardi di dollari nel 2020.

Leggi anche Piani aziendali: le compagnie petrolifere e il futuro post-covid

Secondo l’analista di Evercore ISI, Doug Terreson, “gli amministratori delegati hanno generalmente sovrastimato le capacità di allocazione del capitale e sottovalutato le minacce competitive”. Non a caso, Terreson ricorda a Reuters che, dal 2005, il debito complessivo delle prime cinque major petrolifere mondiali, tra cui Shell, BP e Total, è aumentato di 5 volte, raggiungendo i 370 miliardi di dollari. Ciò significa che gran parte della liquidità che genereranno nei prossimi anni dovrà essere spesa per ridurre il debito.

Quindi, mentre le società energetiche inseguono asset rinnovabili come l’eolico, il solare e l’idroelettrico, che generalmente hanno rendimenti inferiori rispetto a petrolio e gas, questo nuovo investimento partirà da una posizione svantaggiata perché altamente indebitata. “Le major sono state scarse allocatrici di capitale negli ultimi 20 anni”, ha dichiarato Chris Duncan, analista di Brandes Investment Partners, aggiungendo che “di solito, quando le aziende passano a un mercato diverso, la transizione non è un processo redditizio.

Per raggiungere i loro obiettivi climatici, infatti, le grandi società energetiche dovranno quasi inevitabilmente inseguire un pool relativamente piccolo di risorse rinnovabili, per di più in concorrenza con le grandi società di servizi pubblici e in un momento in cui le valutazioni stanno andando alle stelle. “Le major europee in particolare dovranno guadagnarsi il diritto di investire di più nelle energie rinnovabili e convincere gli investitori che non commetteranno gli stessi errori del passato”, ha affermato l’analista di RBC Capital Markets, Biraj Borkhataria.

Leggi anche Greenwashing: Shell promette ma non mantiene

Le grandi società energetiche hanno storicamente attratto investitori con la promessa di dividendi consistenti e costanti. Ma, negli ultimi cinque anni, il rendimento totale per gli azionisti di Shell è stato inferiore al 2,9%. Il quadro è simile per altri, inclusi BP, Exxon Mobil e Total. In confronto, i rendimenti delle azioni Apple negli ultimi cinque anni sono superiori al 40%, mentre le azioni Google Alphabet hanno reso più del 15%.

Il costante calo del valore delle compagnie petrolifere, quindi, potrebbe rendere più difficile ottenere grandi acquisizioni di asset rinnovabili o di società di energia pulita che hanno visto le loro azioni in crescita negli ultimi anni, come la danese Orsted e la spagnola Iberdrola. Tuttavia, alcuni esperti affermano che, man mano che le compagnie petrolifere e le società energetiche europee si evolvono fino a diventare imprese a basse emissioni, potrebbero attrarre un diverso tipo di investitore, più interessato alla stabilità a lungo termine piuttosto che a pagamenti corposi anno dopo anno.