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Smart working, quali impatti su traffico e qualità dell’aria?

Smart working

(Rinnovabili.it) – I blocchi imposti dal Governo per arginare la diffusione del SARS-CoV-2 hanno dato una rapida spinta allo smart working, creando diverse soluzioni per continuare le attività lavorative o scolastiche da remoto. Una mossa obbligata che oggi è ancora consigliata – dove possibile – a dipendenti pubblici e quelli privati per tutta la durata dello stato di emergenza.

Al di là delle difficoltà incontrate nell’implementazione del cosiddetto “lavoro agile”, questa misura ha determinato precisi effetti sulla vita quotidiana, anche in termini di impatto sul traffico urbano e sulla qualità dell’aria. Ad analizzarli è oggi un nuovo studio di RSE– Ricerca sul Sistema Energetico. La società ha cercato di comprendere come, durante il periodo del lockdown, sia effettivamente cambiata la domanda di mobilità (rispetto ad una situazione pre-pandemia). E lo ha fatto concentrano concentrando l’attenzione su ruolo e impatto dello smart working.

“La dimensione dell’esperienza ed i vincoli prescrittivi imposti – spiega RSE – hanno, di fatto, creato le condizioni per un’analisi di ‘stress test’, utile a valutare e misurare l’impatto ‘potenziale’ che tale misura potrebbe determinare sulla riduzione della congestione del traffico urbano, con i correlati effetti di minor consumo di combustibili, e quindi di minor impatto ambientale”.

Ai fini dello studio, gli esperti hanno analizzato i dati riguardanti oltre 35.000 utenti nella città di Milano, raccolti in tre differenti periodi: ante Covid, dal 25 febbraio al 6 marzo (1Covid) e dal 9 al 20 marzo (2Covid). Le informazioni sono state acquisite tramite strumenti SDK, acronimo di Software Development Kit, installati su un network di applicazioni con cui è possibile, previa autorizzazione, monitorare la posizione del dispositivo mobile.

La scelta dell’area milanese come campo di indagine non è casuale. La città non solo appartiene ad una delle ex-zone rosse del COVID-19 ed è fortemente rappresentativa sul fronte socio-economico, ma è già stata terreno di ricerche da parte di RSE.

Si scopre così che rispetto al periodo pre-lockdown, si è registrato un calo (stimato) degli spostamenti pari al 25% nel periodo 1Covid e del 55% in quello successivo. Di questi quasi la metà (45%) è da considerarsi “sistematico”, ossia riconducibile al tragitto casa/lavoro o casa/scuola. RSE ha quindi confrontato questi dati con quelli degli addetti per settore che hanno potuto continuare a lavorare grazie al ricorso allo smart working (dati Istat).

Il risultato? Il lavoro agile dovrebbe esser la causa di circa il 23% dei mancati spostamenti sistematici nel periodo clou dei blocchi, ossia il 2Covid. “Contestualizzando questo dato in un’analisi sul potenziale massimo dello smartworking, decurtando cioè la quota di chi è rimasto a casa senza poter lavorare, si ottiene un potenziale di riduzione degli spostamenti totali giornalieri, grazie al massivo ricorso al lavoro agile, pari al 14,5%”, chiarisce RSE.

Queste informazioni sono state la base per elaborare una stima del potenziale impatto su traffico e qualità ambientale determinato dal lavoro da remoto. Il risultato per spostamenti sistematici evitati grazie allo smart working prevede una riduzione potenziale di circa 5.800.000 vetture-km al giorno. Il dato si riferisce ovviamente al solo trasporto privato in auto, ma rappresenta una fetta pari a circa il 60% del totale.

Ciò significa poter risparmiare all’atmosfera 500 tonnellate di PM2,5 e 1.300 tonnellate di CO2 al giorno, grazie ai minori consumi di carburante (-112 ktep/anno). Risultati importanti che offrono un nuovo punto di vista per le politiche ambientali urbane.

Il ricorso allo smartworking, anche se applicato in forma più leggera rispetto a quanto ipotizzato in questo studio, che rappresenta una stima di ‘massima potenzialità’, potrebbe permettere riduzioni dei consumi e delle emissioni paragonabili a quelli di altre tipologie di interventi (potenziamento del TPL, mobilità elettrica..) – scrive RSE  – e si colloca, quindi, tra le soluzioni che possono essere messe in campo per una maggiore sostenibilità della mobilità all’interno delle città”.

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