Un’analisi comparata dei più aggiornati report sullo stato del sistema energetico globale: il World Energy Outlook di IEA e il New Energy Outlook di BNEF
di Matteo Grittani
(Rinnovabili.it) – Tra le vittime mietute dalla pandemia di covid-19 che sta flagellando il mondo c’è sicuramente (anche), il sistema energetico globale. Secondo IEA, che a metà ottobre ha lanciato il suo annuale rapporto – il World Energy Outlook 2020 – lo stravolgimento che il virus ha scatenato sugli scenari energetici non ha eguali nella storia recente ed avrà ripercussioni per anni. Il WEO è la stella polare per chi si occupa di energia da sempre, ed è affiancato da alcuni anni da un outlook parallelo – il New Energy Outlook (NEO) – elaborato da Bloomberg New Energy and Finance (BNEF), che ha affinato nel tempo i suoi modelli. Ma cosa ci dicono i due rapporti? Quale futuro dipingono per il sistema energetico?
Gli effetti della pandemia e la sfida del climate change
Innanzitutto, il grande shock. Da un lato la domanda energetica globale che cala del 5% e dall’altro le emissioni di CO2 del settore che registrano -7% rispetto all’anno precedente e soprattutto gli investimenti energetici a picco (-18%), sullo stesso periodo. Queste le cifre di IEA per il 2020, che restituiscono un’immagine fin troppo chiara degli effetti della contrazione delle attività economiche mondiali dettata da SARS-CoV-2. Per BNEF i numeri sono simili, anche se le emissioni di anidride carbonica calano di un punto percentuale in più, e riprenderanno a crescere non appena la crisi sarà risolta per raggiungere un picco entro il 2027. Da lì cominceranno una lenta diminuzione dello 0.7% ogni anno – riproducendo il tipico andamento “peak and decline”.
Una riduzione delle emissioni che gli esperti del gigante dei media newyorkese definiscono “assolutamente insufficiente” e che ci porterebbe dritti verso un aumento della temperatura media globale di +3.3ºC rispetto ai livelli preindustriali. Il NEO 2020 avverte che per rimanere al di sotto dei +2ºC entro fine secolo, “le emissioni dovrebbero ridursi circa 10 volte più velocemente”, ad un ritmo vicino al 6% ogni anno fino al 2050. Per rimanere invece al di sotto dei +1.5ºC (l’obiettivo originario degli Accordi di Parigi del 2015, n.d.r.), la riduzione annuale necessaria sarebbe del 10%. Si tratterebbe di tre punti percentuali in più rispetto alla riduzione vista quest’anno causata dalla catastrofe del covid e dei necessari lockdown generalizzati. Insomma, questi dati ci dicono chiaramente che nemmeno spegnendo il mondo intero per 3/4 mesi ogni anno, per 10 anni riusciremmo a invertire la tendenza così fortemente inerziale del global warming.
Disparità e disuguaglianze
Uno degli effetti più devastanti della pandemia – lo stiamo vedendo in questi mesi – è senza dubbio l’acuirsi delle disuguaglianze che già esistevano. Gap socioeconomici che si manifestano in egual misura anche sul sistema energetico stravolgendone domanda, mercato correlato e sicurezza negli approvvigionamenti. Un meccanismo rilevato dal WEO20 che addirittura registra per la prima volta dopo anni, una significativa risalita del numero di individui che sperimentano la cosiddetta “povertà energetica”. Nel dettaglio, ci sono 580 milioni di persone in Africa Subsahariana – circa i tre quarti del totale – che non hanno accesso all’elettricità, gran parte dei quali concentrati in Etiopia, Nigeria, Congo e Uganda. La pandemia “staccherà” dalla rete elettrica altri 100 milioni di persone che pur essendosi faticosamente appena allacciate alla rete torneranno a cucinare, scaldarsi e illuminarsi con fonti di energia estremamente più inquinanti e inefficienti. Ancora una volta, gli effetti peggiori della crisi li pagano i più vulnerabili.
Il boom delle rinnovabili
Venendo a concetti più tecnici, il punto focale che emerge sia da WEO20 che da NEO20, è che il futuro è delle rinnovabili. Secondo Bloomberg, dei 15.1 mila miliardi di dollari investiti in nuova capacità elettrica istallata da qui al 2050, ben l’80% sarà coperto da tecnologie rinnovabili e batterie. Cina, India e tutta la regione Asia-Pacific avranno la parte del leone rappresentando il 45% del volume degli affari complessivo. Numeri simili per il WEO, che nel suo scenario STEPS (Stated Policies Scenario), stima che le rinnovabili coprano da sole l’80% della crescita della domanda di elettricità globale da qui al 2030.
Unica differenza nei due rapporti è la forza relativa di solare fotovoltaico ed eolico, con il FV che diventerà la tecnologia leader incontrastata per IEA, “battuta” invece dal vento secondo BNEF negli anni a venire. Ad ogni modo eolico e solare fotovoltaico – partendo dal 9% di oggi – rappresenteranno da soli circa il 56% della domanda globale di elettricità nel 2050, che unito a un ulteriore 20% generato da idroelettrico nucleare e altre RES, porterà la quota di low- e zero-carbon al 76%. Sia Bloomberg che International Energy Agency mettono però in luce l’attuale debolezza della rete elettrica mondiale, che sarebbe sopraffatta da una tale esplosione delle rinnovabili.
Serviranno circa 14mila miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture per potenziare il sistema energetico, che per funzionare correttamente necessiterà anche solide e mature tecnologie di storage. Ciò implica ovviamente che la crescente domanda di batterie al fine di flessibilizzare la fruizione dell’elettricità da rinnovabile metterà sotto pressione il mercato dei metalli e delle terre rare utilizzate per costruirle. In definitiva, i dati incoraggianti sull’esplosione delle rinnovabili sono egregiamente bilanciati da una serie di difficoltà tecniche e incertezze che andranno affrontate nel breve e nel medio periodo.
I picchi di petrolio, carbone e gas
La domanda di petrolio è prevista crescere ancora troppi anni, per raggiungere finalmente il picco entro il 2035 sia per BNEF che per IEA. Dopo il flesso, arriverà una riduzione dello 0.7% ogni anno fino al 2050, quando tornerà ai livelli del 2018 secondo i dati del NEO20. Un calo timido che sarà spinto dal dirompente mercato dei veicoli elettrici che uniformerà i prezzi alle automobili con motore a combustione interna entro il 2025, davvero troppo tardi. Poi c’è il carbone, la fonte fossile più longeva, inquinante e meno efficiente in natura. Secondo BNEF la domanda ha “piccato” nel 2018 e da lì ha cominciato la sua caduta libera specie in Europa e Stati Uniti.
La cavalcata della fossile per eccellenza continuerà ancora per circa un decennio nelle economie emergenti, per poi cominciare a diminuire sia in Cina (2027), che in India (2030). Più o meno la stessa sorte dipinta da IEA, che sottolinea in particolare i 275 GW di capacità da carbone (il 13% della flotta esistente), ritirati entro il 2025 grazie a efficaci e virtuose politiche di phase-out sparse per il mondo. Stando al WEO20, la quota coperta dal carbone sul mix energetico globale scenderà dal 37% del 2019 al 28% nel 2030 seguendo STEPS, mentre crollerà addirittura al 15% affidandosi allo scenario più ottimista tratteggiato dall’Agenzia guidata da Fatih Birol, il Sustanable Development Scenario (SDS).
Green is the Colour
Verde è il colore. Prendendo in considerazione il principale scenario di Bloomberg New Energy and Finance sembra di sentire i Pink Floyd. Il Climate Scenario contenuto nel New Energy Outlook (NCS), infatti vaglia tutte le possibili vie che, qualora intraprese, porterebbero il mondo a mantenere l’incremento della temperatura globale al di sotto dei +2ºC. BNEF si concentra in particolare sull’elettrificazione e sulla piena implementazione delle tecnologie a base di idrogeno green. Secondo l’NCS calcolato dagli esperti di Bloomberg, l’H2 potrebbe garantire circa un quarto degli usi finali totali di energia (civili, industriali e per autotrazione), entro metà secolo. Ciò significherebbe 36 mila Twh di elettricità e ben 800 milioni di tonnellate di idrogeno prodotto. Si tratta del 38% in più dell’energia prodotta nel mondo oggi; un vero e proprio boom verde reso possibile da 14TW di rinnovabili oppure 4TW di nucleare installati in più rispetto a oggi.
Un futuro incerto
In definitiva, se c’è un concetto su cui IEA e BNEF concordano completamente, è la difficoltà estrema del contenimento del riscaldamento globale. Il nuovo scenario approntato da IEA, il NZE2050 (Net Zero Emissions by 2050), cerca di spiegare cosa serva oggi per raggiungere le zero emissioni nette entro la metà del secolo; scenario fondamentale, perché in linea con gli obiettivi di COP21. Vale la pena citare alcuni numeri che prevede NZE50, che corrispondono ad impegni stringenti qualora l’umanità volesse davvero evitare un riscaldamento maggiore di 2ºC al suo Pianeta. Con orizzonte temporale 2030, si parte dalla riduzione del 40% delle attuali emissioni per arrivare al 75% della generazione di elettricità mondiale derivato da fonti low-carbon (oggi sono il 40%), unito ad un incremento della vendita di veicoli elettrici che porti la loro quota a superare il 50% delle vendite totali (dal 2.5% di oggi).
Secondo IEA non c’è un’unica fonte che si dimostrerà decisiva nella transizione energetica; sarà al contrario necessario affidarci a una grande varietà di tecnologie, dai reattori nucleari su piccola scala agli elettrolizzatori di idrogeno. Fondamentale sarà l’elettrificazione del sistema, all’efficientamento degli impianti e delle tecnologie attuali, senza dimenticare i cambiamenti nelle nostre abitudini di cittadini e consumatori. Auspici che secondo BNEF necessiteranno di un concretissimo investimento: tra i 78 e i 130 trilioni di dollari nei prossimi 40 anni, suddivisi in circa 64 per infrastrutture e reti energetiche e un range che va dai 14 ai 66 trilioni di dollari per produrre, trasportare e immagazzinare l’idrogeno verde.
C’è molto lavoro ancora da fare.