Uno studio di Stanford e Politecnico di Zurigo sulla scomparsa delle zone umide
(Rinnovabili.it) – Dal ‘700 a oggi, l’Italia ha perso più del 75% delle sue zone umide: è uno dei paesi al mondo dove è più estesa la scomparsa di questi ecosistemi, che stoccano grandi quantità di carbonio e supportano la biodiversità. La stima arriva dal primo studio che scatta una fotografia accurata su scala globale della scomparsa delle zone umide. E porta, in realtà, una buona notizia: la perdita è molto inferiore a quanto si pensava finora.
Scomparso il 21% delle zone umide nel mondo
In tutto il mondo, tra il 1700 e il 2020, secondo lo studio guidato dall’università di Stanford e dal Politecnico di Zurigo, sono stati modificati 3,4 milioni di km2 di paludi, torbiere, acquitrini, estuari, foreste di mangrovie e altri ecosistemi umidi. Questa è una stima mediana ma la forbice è relativamente stretta e va da 2,9 a 3,8 mln km2. Cifre che equivalgono a circa il 21% (forbice 16-23%) del totale presente sul Pianeta all’alba dell’era industriale.
Finora, si riteneva che la scomparsa delle zone umide avesse riguardato il 75% del totale. Un dato sovrastimato che, probabilmente, rifletteva l’abbondanza di dati relativi al Nord Globale. Dove la perdita di wetlands è maggiore. Europa e Stati Uniti (insieme alla Cina), infatti, sono le regioni dove la scomparsa delle zone umide è più evidente, con gli Stati Uniti che detengono il primato mondiale come singolo paese. Nel vecchio continente il paese con i dati peggiori è l’Irlanda con una perdita superiore al 90%, seguita da Germania, Lituania e Ungheria con oltre l’80%, e poi Gran Bretagna e Olanda a pari merito con l’Italia.
“Nonostante le buone notizie che i nostri risultati potrebbero implicare, rimane urgente fermare e invertire la conversione e il degrado delle zone umide”, ha dichiarato l’autore principale dello studio, Etienne Fluet-Chouinard. “Le disparità geografiche nelle perdite sono fondamentali da considerare perché i benefici locali persi dalle zone umide prosciugate non possono essere sostituiti da zone umide altrove”.