Come le sabbie bituminose, anche l’idrogeno blu ha lo stesso rischio sismico
(Rinnovabili.it) – Sono state le sabbie bituminose (tar sands) a provocare il terremoto di magnitudo 5.6 che ha scosso l’Alberta il 30 novembre 2022. L’epicentro era localizzato nell’area del Peace River, nella parte nord-occidentale della provincia canadese. Ovvero il cuore della regione dove si trovano i maggiori giacimenti di questa fonte fossile. Lo afferma uno studio condotto dall’università di Stanford e apparso il 23 marzo su Geophysical Research Letters.
Mentre sono molti gli studi che collegano i terremoti con le attività da fracking, finora il nesso con l’estrazione di sabbie bituminose non era mai stato acclarato. Anche i regolatori dell’energia del paese nordamericano avevano scartato subito l’ipotesi, parlando del sisma come di un evento tettonico naturale e nient’altro.
Le sabbie bituminose sono la fonte fossile più inquinante al mondo. Estrarle genera fino a tre volte più emissioni di gas serra rispetto alla produzione di petrolio convenzionale. In più ha bisogno di grandi quantità di acqua e i liquidi tossici di scarto vengono raccolti in enormi stagni.
Per valutare le origini del terremoto di Peace River, i ricercatori di Stanford hanno utilizzato un approccio a 360 gradi che considera i dettagli e il contesto degli eventi sismici, tra cui la posizione, la profondità, la tempistica, la storia regionale dei terremoti e lo storico delle attività delle industrie nella zona. Giungendo alla conclusione che sono proprio i processi usati per facilitare l’estrazione di sabbie bituminose i responsabili del terremoto.
Dito puntato sulle sabbie bituminose…
Come? Per portare in superficie il bitume, racchiuso nei pori delle rocce sedimentarie, si iniettano nel sottosuolo enormi quantità di acqua calda o di solventi, che possono mescolarsi con metalli pesanti, idrocarburi e sostanze chimiche nocive. Il modo più economico per smaltire queste acque reflue è quindi reiniettarle nel sottosuolo. Dall’inizio delle attività negli anni ’80 a oggi, sono stati pompati sottoterra circa 100 milioni di metri cubi di acqua, l’equivalente di 40mila piscine olimpioniche. Che hanno aumentato la pressione sulle rocce sottostanti – in modo analogo a quanto avviene col fracking – fino a che tale pressione non ha innescato una faglia esistente.
… ma attenzione anche all’idrogeno blu
Il problema non sono soltanto le sabbie bituminose. Il Canada sta puntando tantissimo sullo stoccaggio sotterraneo di CO2 come strategia per abbattere l’impronta di carbonio della sua industria oil&gas, ma anche per “ripulirla” tramite la produzione di idrogeno blu, ovvero ottenuto a partire da idrocarburi naturali con recupero di CO2. Secondo lo studio di Stanford, anche lo storage di CO2 può presentare lo stesso rischio di innescare faglie nella zona.