Dal 2020, l’Italia ha posticipato 4 volte l’entrata in vigore della tassa sugli imballaggi in plastica monouso. Un rapporto di Greenpeace calcola il mancato gettito fiscale e spiega come si sarebbero potute usare quelle risorse
L’ultimo rinvio della plastic tax voluto dal governo Meloni la sposta al 1° gennaio 2024
(Rinnovabili.it) – Il rinvio della plastic tax è costato all’Italia 1,2 miliardi di euro. È questo l’ammontare del mancato gettito fiscale in 4 anni di ritardi, se si considera la tassa da 0,45 centesimi per ogni kg di plastica da imballaggio stabilito dal provvedimento (6 mld se fosse passato il parametro originario di 1 euro/kg). Che era stato introdotto con la legge di bilancio 2020, ma non è mai entrato in vigore. Lo ha calcolato Greenpeace in un rapporto pubblicato oggi.
L’industria dietro il rinvio della plastic tax
La colpa? L’associazione ambientalista punta il dito contro interessi industriali che hanno continuato a usare il paravento delle crisi di questi anni, dal Covid ai prezzi dell’energia alla guerra in Ucraina, per sostenere nuovi rinvii della plastic tax: sarebbe stata insostenibile per l’industria.
“I parametri ISTAT (indice produzione industriale, margine operativo lordo e produzione industriale venduta) indicano però che in questi anni il settore degli imballaggi in plastica nel nostro Paese ha fatto registrare nel complesso risultati positivi, nonostante la crisi economica innescata dalla pandemia”, nota Greenpeace nel rapporto. Ad oggi, dopo il doppio rinvio della plastic tax dei governi Conte e quelli dell’esecutivo Draghi e Meloni, la nuova data presunta di entrata in vigore è il 1° gennaio 2024.
Accompagnare la transizione del settore
Il mancato introito avrebbe consentito di ammodernare il settore e renderlo più circolare e sostenibile, afferma Greenpeace. La tassa è di per sé un incentivo a consumare meno plastica preferendo prodotti ricaricabili o sfusi, ma potrebbe essere usata per creare un sistema di incentivazione per accompagnare la transizione del settore. In modo da premiare in fase di produzione, ad esempio, la preferenza per opzioni riutilizzabili, gli investimenti sostenuti in eco-design, il passaggio a modelli di business privi di plastica monouso.
La direzione in cui stiamo andando, infatti, parla di un aumento della plastica. “Nonostante la battuta d’arresto dovuta alla pandemia, l’immissione al consumo di plastica da imballaggio è tornata a crescere del 3% nel 2021 rispetto al 2020 e, secondo le ultime previsioni del CONAI, è prevista in crescita a un tasso annuale dello 0,3% nel 2022, dell’1,9% nel 2023 e dello 0,9% nel 2024”, ricorda il rapporto.