Resilienza e design modulare, attenzione al riuso dei materiali e alle prestazioni termiche degli shelter. Ma il dibattito tocca anche un punto cruciale: è davvero un'architettura temporanea?
(Rinnovabili.it) – Lesbo, Lampedusa, ma anche Za’atari in Giordania e la “Giungla” di Calais. Luoghi di transito – o prigioni per decenni – dei rifugiati, mai come negli ultimi anni le migrazioni dell’uomo cambiano il volto del nostro mondo. Scuotono la politica e la società civile, e non possono lasciare indifferente l’architettura. Infatti agli shelter per rifugiati sarà dedicata una importante mostra al MOMA di New York, dal titolo “Insecurities: Tracing Displacement and Shelter”, che aprirà al pubblico nel prossimo autunno. Cosa ci dobbiamo aspettare?
Dalle prime informazioni, sembra che il museo diventerà palco per l’acceso dibattito che anima questo tema. Qual è infatti il ruolo dell’architettura rispetto ai rifugiati? Architetti e designer hanno il dovere morale di portare il loro contributo? È una “semplice” questione tecnica, fatta di soluzioni resilienti e progettazione modulare e nulla più? Oppure la vera sfida è progettare, insieme, la sicurezza, la stabilità e la temporaneità di un rifugio?
Le voci che si sono levate in proposito sono diverse, e non tutte provengono dal campo dell’architettura. Kilian Kleinschmidt, esperto di aiuti umanitari, sostiene che i governi devono smettere di pensare ai campi profughi come a soluzioni temporanee: sono destinati a diventare realtà ben più stabili.
Ma per le emergenze, non servirà invece una risposta rapida per quanto poco duratura? La pensa così Richard Van Der Laken, fondatore dell’organizzazione olandese What Design Can Do che ha lanciato la Refugee Challenge.
Gli risponde in totale disaccordo il designer Ruben Pater: queste iniziative fanno credere che il design possa risolvere qualsiasi problema, o che le crisi siano problemi di design e basta. Ma non è così.
Intanto le Nazioni Unite annunciano che sono quasi 70 milioni le persone che in tutto il mondo sono nella condizione di rifugiati, richiedenti asilo o sfollati interni. Se si guardano le previsioni sui rifugiati ambientali, queste cifre sono destinate a schizzare verso l’alto nel prossimo futuro.
Il problema c’è, quindi, è ben reale. Ecco alcune delle proposte che sono state avanzate finora da architetti e designer.
Hex House, l’architettura modulare post-disaster
Il rifugio ha una versatile forma esagonale ed è disegnato non solo per l’emergenza, ma anche come soluzione di lungo periodo. La modularità va in questa direzione: la Hex House deve potersi adattare alle esigenze di famiglie che crescono, cambiano abitudini e provano a vivere la loro vita in un modo nuovo.
I componenti principali sono tubi di acciaio galvanizzato per la base, pannelli isolanti strutturali (SIP) di metallo per muri, pavimenti e tetti. Muri e tetto sono autoportanti e si uniscono con semplici giunture maschio-femmina formando un rigido guscio strutturale. Le unità possono condividere muri per migliori prestazioni termiche, oppure per aumentare la superficie interna.
Il rifugio resiliente pop-up
Si chiama La Matriz ed è tutto in alluminio: sia la struttura reticolare e autoportante, sia i fogli con proprietà isolanti e riflettenti che compongono la copertura esterna. Arriva dal Perù ed è ritagliato sul clima e la geografia caratteristici della regione andina, dai frequenti terremoti di portata devastante alle piogge torrenziali e alle conseguenti inondazioni.
La copertura è composta da uno strato interno di schiuma isolante che riduce la perdita di calore e un foglio d’alluminio rivolto all’esterno che riflette la radiazione solare. Alcuni di questi “petali” d’alluminio possono essere sollevati creando un’apertura che permette di ottimizzare la climatizzazione del modulo.
Living Shelter punta sul riuso
L’idea di partenza è l’abitazione kampung, tipica del sud-est asiatico. Lo shelter presenta aperture che garantiscono una ventilazione naturale, può essere costruito su un terreno non piano, e ovviamente ha un design che abbina la facilità di trasporto alla semplicità di assemblaggio in sito: è pronto e funzionante in poche ore, senza bisogno di ricorrere ad alcun attrezzo da lavoro.
Ma la caratteristica più interessante è senz’altro l’attenzione al potenziale di riutilizzo del rifugio. Infatti ogni materiale è studiato per poter facilmente venire riciclato, oppure riutilizzato per altri scopi, oppure ancora servire da base per trasformare il rifugio di emergenza in un’abitazione più stabile.
Living Shelter è stato selezionato da Alejandro Aravena per la Biennale di Venezia 2016.
Il Better Shelter di IKEA
Le case prefabbricate sviluppate da Ikea insieme all’Agenzia dell’Onu per i rifugiati sono pensate per l’isola greca di Lesbo e alloggiano 5 persone in un ambiente più comodo e termicamente isolato meglio delle normali tende che si montano in questo tipo di emergenze.
Le costruzioni in pannelli di laminato ultraleggero con isolante interno possono essere costruite senza particolari strumentazioni ed hanno una durabilità di circa tre anni, un dato veramente positivo se si tiene conto che i rifugi tradizionali dopo soli sei mesi devono essere sostituiti. L’involucro è bianco e lucido per riflettere la maggior parte dei raggi solari e combattere il surriscaldamento degli spazi interni.
Per rimanere in contatto con familiari ed ambasciate le tende super efficienti sono dotate di una porta USB, alimentata dall’impianto fotovoltaico, per ricaricare pc e cellulari.