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Riforma ECT, cosa prevede il nuovo Trattato sulla Carta dell’Energia?

Finanza sostenibile: basta garanzie pubbliche a chi investe nelle fossili
Foto di David Mark da Pixabay

Raggiunta l’intesa sulla riforma ECT dopo 4 anni di negoziati

(Rinnovabili.it) – Basta arbitrati internazionali per tutti i nuovi progetti fossili. E tagliola a 10 anni per quelli già in cantiere o realizzati. È il succo dell’accordo sul nuovo Trattato sulla Carta dell’Energia (Energy Charter Treaty, ECT) che fa gioire Europa e Gran Bretagna. Venerdì 24 giugno è arrivato l’ok di massima sul pezzo più importante della riforma ETC dopo 4 anni di negoziati, in un iter che dovrebbe chiudersi il prossimo novembre con il sì definitivo dei 54 paesi che partecipano al Trattato.

Cos’è il Trattato sulla Carta dell’Energia?

Il Trattato sulla Carta dell’Energia è considerato uno strumento multilaterale ormai obsoleto. Creato nel 1994 dopo il crollo dell’URSS per tutelare gli investimenti delle aziende dalle turbolenze delle relazioni internazionali, ha dato a queste compagnie un potere enorme nei confronti degli stati. Grazie al meccanismo ISDS (Investor-State-Dispute-Settlement), le aziende possono chiedere compensazioni tramite arbitrati internazionali quando le politiche energetiche di un paese rischiano di danneggiare i loro profitti.

Non è un’ipotesi remota. Tra i casi più recenti, la tedesca RWE ha contestato la scelta olandese di chiudere le centrali a carbone. C’è anche una procedura contro l’Italia per il caso Ombrina Mare. Risale al 2017, anche se Roma è uscita dall’ECT nel 2015. L’Italia infatti restava esposta a eventuali richieste di compensazioni per profitti mancati per 20 anni dall’addio al Trattato (con la riforma ECT, invece del 2035 il termine ultimo per Roma sarà il 2032). Le richieste di risarcimento sono spesso miliardarie e fanno lievitare i costi della transizione.

I punti chiave della riforma ECT

L’accordo raggiunto lo scorso fine settimana e spinto soprattutto da UE e UK prova a difendere la transizione energetica europea. Come? La riforma ECT prevede che il meccanismo ISDS non potrà essere invocato per i progetti fossili che inizieranno dopo l’agosto del 2023. Mentre per quelli già in funzione (e soggetti magari a chiusura anticipata dalle nuove politiche climatiche di uno stato) l’azienda potrà chiedere compensazioni ma solo da qui a 10 anni. “L’UE e il Regno Unito hanno scelto di escludere gli investimenti legati ai combustibili fossili dalla protezione degli investimenti ai sensi del Trattato sulla Carta dell’Energia, anche per gli investimenti esistenti dopo 10 anni dall’entrata in vigore delle disposizioni pertinenti e per i nuovi investimenti effettuati dopo il 15 agosto 2023 a partire da tale data” anche se “con eccezioni limitate”, si legge nella bozza di accordo anticipata da Euractiv.

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