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Riflessioni sugli sviluppi energetici in Italia

Oggi servirebbe una strategia energetica di riduzione progressiva, del ricorso alle risorse fossili di importazione. Purtroppo non si scorge traccia di questa volontà, anzi la sostituzione graduale con le fonti rinnovabili è chiaramente contrastata.

sviluppi energetici in italia
Foto di sergei akulich da Pixabay

di Ugo V. Rocca 

(Rinnovabili.it) – Quando i nostri nonni affrontarono il problema della copertura del fabbisogno energetico italiano, furono prese decisioni sagge e non semplici. Occorreva importare prodotti petroliferi con esborsi economici notevoli ed operare in condizioni di dipendenza energetica da paesi esteri (oggi la dipendenza risulta circa dell’87 %). Intelligentemente si pensò prioritariamente allo sfruttamento delle risorse endogene disponibili, in particolare alle risorse idrauliche, le uniche al momento tecnicamente sfruttabili, allo scopo di minimizzare il ricorso all’approvvigionamento dall’estero. Furono costruite con opere di ingegneria notevoli le centrali idrauliche tra le più grandi in Europa, con dighe ed invasi anche di notevoli dimensioni. La scelta non era priva di sacrifici, soprattutto per gli abitanti di piccoli paesi di montagna che hanno traslocato casa e non solo; basti pensare che da un bacino artificiale ancora oggi spunta dall’acqua il campanile di una Chiesa.

Purtroppo occorre anche ricordare il disastro del Vajont nel 1963. Ma la scelta era e si è dimostrata corretta, i cittadini Italiani hanno prodotto con energia endogena e rinnovabile, l’unica al tempo ritenuta sfruttabile, oltre il 30% dell’energia elettrica richiesta allora in Italia, con notevoli risparmi in termini di esborsi economici e di dipendenza energetica da paesi esteri. Perché questa premessa? Perché oggi sembra invertito l’approccio del paese al problema energetico. La strategia energetica nazionale è definibile “a tutto gas”, con intralci e difficoltà varie frapposte volutamente alla crescita delle energie endogene e rinnovabili oggi tecnicamente sviluppate ed utilizzabili.

Si pensi al solare fotovoltaico, all’eolico ed ai numerosi ed estesi bacini geotermici (dalla Sicilia al Trentino) a bassa entalpia (temperature da 40-70 gradi) che potrebbero essere ampiamente sfruttati (oggi di fatto ignorati) risparmiando sulle importazioni di combustibili fossili tradizionali, costosi, inquinanti e spesso pericolosi, di provenienza estera. 

Una strategia energetica nazionale quindi che non tiene conto degli interessi dei cittadini ma dettata dai grossi interessi petroliferi e/o finanziari.

Risulterebbe certamente più comprensibile una strategia energetica nazionale che, pur prevedendo l’import necessario di combustibili fossili per  quanto dovuto, preveda anche una graduale riduzione nel tempo di tale import con contemporanea crescita del ricorso alle fonti endogene rinnovabili. Questo era lo spirito che ha animato i nostri saggi nonni. 

Perché dunque non utilizzare di più il fotovoltaico per produrre, di giorno, energia elettrica dal momento che il costo di produzione del kwh con  la tecnologia solare odierna risulta il più basso tra le varie tecnologie disponibili, anche considerando il ciclo combinato a gas di migliore tecnologia? Quanto alla opportunità di accumulare l’energia in surplus, si possono costruire  piccoli invasi idraulici di pompaggio per un accumulo naturale, distribuito sul territorio e per molti versi utili all’ambiente. Comunque più semplici ed indicati degli accumuli in batterie elettrochimiche o in idrogeno.

Perché non ricorrere alla bassa entalpia geotermica, ampiamente diffusa e disponibile in Italia, per scaldare gli alloggi con il semplice ausilio di una pompa di calore, anziché bruciare nelle case in città del gas a 900 gradi per produrre ed immettere nei termosifoni acqua calda a 70-80 gradi? 

Non sarebbe più semplice far circolare per le strade delle città dei tubi di acqua calda (geotermica o prodotta in una centrale termica grande) da distribuire negli alloggi anziché portare pericolosamente del gas, da bruciare in una caldaietta di appartamento per produrre l’acqua calda? La caldaietta non sarebbe più necessaria negli alloggi, con risparmio economico e miglioramento in termini di sicurezza ed ambientale. Una città come Roma ad esempio è attraversata da oltre 5000 km di pericolose (per via degli scoppi) ed inquinanti  (fughe) tubazioni del gas. Senza contare le fasi di estrazione del gas, di trasporto dai paesi stranieri e la successiva distribuzione, tutte fasi causa di importanti inquinamenti ambientali soprattutto con riguardo all’ effetto serra. Addirittura scopriamo (dalle solite inchieste della magistratura) che il gas straniero è stato portato ad inquinare le bellissime isole di Ischia e Procida, pur dotate notoriamente di calore geotermico superficiale e comunque certo da non inquinare col bruciamento di combustibili fossili.

Tutte considerazioni che richiederebbero una strategia energetica di riduzione progressiva, graduale ma decisa, del ricorso alle risorse fossili di importazione. Non si scorge traccia di questa volontà, anzi la sostituzione graduale con le fonti rinnovabili è chiaramente contrastata. In realtà i grandi interessi portano ad altre soluzioni, a danno dei cittadini che pagano caro l’import eccessivo e le pesanti conseguenze dell’inquinamento. La carenza di volontà si nota a livello politico ed amministrativo, probabilmente anche su sollecitazione di interessi “forti”, nella grave e colpevole disinformazione di organi non sufficientemente indipendenti ed al servizio dei cittadini. Diceva la brava Miriam Mafai che la “mezza verità” detta, se l’altra metà non detta è importante per capire le situazioni, in realtà è una bugia. Non c’è dubbio che troppo spesso gli organi di informazione ricorrano alle “mezze verità” per informare i cittadini sugli aspetti energetici ed ambientali. 

Possiamo fare degli esempi: tutti o quasi tutti i cittadini sono informati che bruciare del gas (metano) produce meno (di poco in realtà) inquinamento che bruciare del gasolio, per esempio per il riscaldamento urbano. Addirittura si intende sostituire in alcuni comuni, come a Roma e Milano, il combustibile per motivi ambientali. Quanti sanno invece che in termini di sicurezza il gasolio risulta estremamente più affidabile? Una perdita di gas può comportare scoppi o soffocamenti, una perdita di gasolio non è preoccupante potendo cadere sulla stessa anche un cerino acceso o la sigaretta, senza alcuna conseguenza. Quanti sanno che in molte nazioni, Francia, Gran Bretagna, Olanda, California si opera per ridurre o impedire il ricorso al gas nei sistemi urbani?

Cosa sceglierebbe un cittadino se fosse informato e libero di decidere quale combustibile usare? 

Quanti sanno che il gas inquina “a ciclo completo”, cioè dalla estrazione al trasporto e distribuzione , fino al bruciamento finale, almeno quanto i prodotti petroliferi liquidi , sempre a ciclo completo? 

Perché si minimizza l’informazione sugli scoppi, numerosi, che avvengono negli edifici abitativi, in assenza di un reale controllo da parte di un Ente di sicurezza appositamente preposto? Il Presidente di Assoedilizia già molti anni addietro denunciava gli scoppi come “un bollettino di guerra” e suggerendo di fornire sistemi elettrici di riscaldamento civile almeno alle persone anziane. Per verificare la situazione per esempio nella città di Roma basta digitare su internet “romatoday fughe di gas” per leggere su numerose pagine quanto avvenuto, spesso nella totale disinformazione generale. 

La decarbonizzazione dei sistemi urbani risulta fattibile e necessaria per evitare l’inquinamento per esempio da polveri sottili, pm 2,5 e pm 10, dovute essenzialmente al riscaldamento civile, come è stato dimostrato definitivamente in questo periodo di Covid, con il traffico estremamente ridotto ed i riscaldamenti normalmente accesi, con le centraline di controllo in città che hanno misurato circa lo stesso livello di inquinamento degli anni scorsi. Altro che le inutili “targhe alterne” o “domeniche a piedi”, occorre invece evitare il bruciamento diffuso nelle singole abitazioni o nei piccoli condomini e possibilmente concentrare il bruciamento, se necessario, in impianti al servizio di grosse aree cittadine, tipo teleriscaldamento o comunque “servizi calore” concentrati con successiva distribuzione di acqua calda, sostituendo in pratica le pericolose condotte del gas con semplici tubazioni di distribuzione del calore (acqua calda). Una città come Roma conta oggi oltre 1,3 milioni di punti di bruciamento, quindi di inquinamento.

Al contrario la cattiva informazione veleggia bene se deve ostacolare le energie rinnovabili. Quasi tutti usualmente obiettano che il fotovoltaico sottrae terreno agricolo all’agricoltura; è una delle tante “fake news” artatamente divulgate; non circola l’informativa che il fotovoltaico ad oggi, dopo oltre 40 anni di sviluppo, ha realizzato 21000 MW su circa 40.000 ettari, tetti di case e capannoni compresi. Basta interrogare il sito ISTAT per essere informati che in Italia sono catastalmente definiti “agricoli” (SAT: Superficie Agricola Totale) circa 17,5 milioni di ettari, una enormità, spesso non realmente di interesse agricolo quali pietraie, pascoli, terreni infruttuosi e non coltivabili. Di questi 17,5 milioni risultano infatti solo 12,8 milioni gli ettari utilizzabili (SAU) e circa 5 milioni gli ettari “agricoli” non utilizzabili.

Di conseguenza il fotovoltaico (che ha utilizzato in 40 anni circa 40.000 ettari e ne richiede altrettanti al 2030 per raggiungere gli obiettivi fissati dalla UE, cioè meno dell’1 % dei terreni agricoli ufficialmente non utilizzabili) e l’agricoltura possono tranquillamente convivere utilizzando per il solare i terreni fermi e marginali, di scarso valore agricolo, le pietraie (spesso definite agricole) e non i terreni di valore, di cui la tecnologia non ha bisogno per esporre al sole i pannelli. Basta ricorrere all’esame LCC (Land Capability Classification) per verificare nei casi dubbi il reale valore agricolo del terreno. Questa banale verità non viene comunicata. Anzi in alcune Regioni le “fake news” vengono ancora utilizzate per “fermare” le iniziative sulle fonti rinnovabili, in nome di una presunta difesa dell’agricoltura, in realtà solo favorendo di fatto i combustibili fossili tradizionali.  

Occorre quindi elaborare una strategia energetica che, nell’interesse dei cittadini, punti decisamente sia pur gradualmente sulle energie rinnovabili disponibili sul territorio, sole, vento, geotermia, riducendo con convinzione il ricorso ai combustibili fossili di importazione, costosi ed inquinanti ed in caso del gas anche pericolosi in ambito urbano.