di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, in breve il Pnrr italiano da “248 miliardi, non è significativo per il clima; non riesce a identificare nei settori della decarbonizzazione il volano per la ripresa economica sostenibile e non è incisivo nell’allocazione delle risorse e nelle riforme per innovare i settori pilastro della decarbonizzazione”. La pensano alcune delle maggiori organizzazioni ambientaliste – Wwf, Greenpeace, Legambiente, Kyoto club e Transport & environment – parlando dei 191 miliardi di risorse del Recovery, dei 31miliardi del Fondo complementare e dei 26 miliardi per la realizzazione di opere specifiche.
Il Recovery plan “dovrebbe rappresentare il momento della visione e delle scelte, con la decarbonizzazione come fulcro della svolta e occasione di rilancio economico e nuova occupazione: eppure molto viene lasciato ai progetti successivi, con una strategia opaca e ampi margini di discrezionalità che rendono difficile perseguire con decisione il percorso verso l’azzeramento delle emissioni di carbonio”. Secondo le associazioni “si preferisce dare spazio a vettori energetici dal futuro ancora non definito e sul lungo periodo, come l’idrogeno verde, invece di puntare decisamente sulle fonti rinnovabili, sull’efficienza energetica in tutti i settori, sull’elettrificazione dei trasporti, con numeri che appaiono solo un contentino”.
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Per Wwf, Greenpeace, Legambiente, Kyoto club e Transport & environment nella valutazione di “un Piano da quasi 250 miliardi non ha solo valore quello che c’è ma anche quello che manca, e che faticherà a trovare uno spazio nei bilanci e nelle riforme dei prossimi anni. Rischiamo di rimanere fuori dalla grande trasformazione in atto e diventare un Paese irrilevante dal punto di vista industriale”.
L’analisi messa a punto evidenza che “le risorse classificabili come ‘verdi’ appaiono marginali nella transizione energetica e scollegate da una strategia climatica. Le spese, anche quando indirizzate nei settori giusti, non rispondono a valutazioni di impatto e criteri di efficacia rispetto agli obiettivi”.
Poi, il capitolo governance. Per gli ambientalisti “manca la relazione” tra “le misure” e “gli obiettivi climatici, in termini di spesa, impatto e monitoraggio. Il significativo budget del Piano per l’alta velocità per esempio è assegnato e monitorato dal ministero dell’Economia che è il proprietario unico di Ferrovie dello Stato”.
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Tra le altre cose manca “una proposta di riforma della fiscalità che assicuri l’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi alle fonti fossili e contestualmente identifichi nei principi di fiscalità ambientale i pilastri per la riforma fiscale da inserire nella legge delega prevista per luglio; la mancanza di una proposta per la finanza verde come leva per lo sviluppo del Paese, connesso alle risorse del Pnrr che includa trasparenza, rendicontazione e l’adozione di una lista d’esclusione al finanziamento di infrastrutture per tutte le fonti fossili, secondo le best practices internazionali, per le agenzie pubbliche Cdp, Sace ed Invitalia”.
Infine – concludono le associazioni – “il Pnrr indica un obiettivo di decarbonizzazione per l’Italia al 2030 del 51% senza che questo appartenga in alcun modo a strategie o politiche nazionali pubbliche e concordate a livello europeo o internazionale”.