La Cina continua a costruire nuove centrali: da Pechino dipende il 70% della pipeline mondiale. Il resto del mondo frena. Per l’IEA, il 2023 però potrebbe essere stato l’anno del picco del carbone. In Italia si va verso la chiusura di tutti gli impianti della penisola entro il 2025 e in Sardegna entro il 2027
Domanda globale da record per il carbone: nel 2023 oltre 8,5 mld t
(Rinnovabili.it) – La fonte fossile più inquinante, il carbone, ha continuato la sua corsa anche nel 2023. Ma con diversi segnali positivi rispetto all’anno precedente. Quando produzione, consumo e generazione elettrica da carbone avevano raggiunto i valori più alti di sempre a livello globale anche grazie al rimbalzo post-Covid. Non mancano nuovi record del carbone nel 2023, ma secondo alcune previsioni potremmo essere vicini al vero punto di svolta, due anni dopo l’impegno globale per la riduzione graduale del carbone preso alla COP26 di Glasgow.
Domanda ai massimi, è record per il carbone nel 2023
Il dato complessivo sulla domanda globale di carbone non è positivo. Quest’anno abbiamo superato la soglia di 8,5 miliardi di tonnellate, per la 1° volta. L’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) stima l’aumento in percentuale sul 2022 a +1,4%, fino a 8,54 mld t. Dieci anni fa batteva intorno agli 8 mld t e la curva aveva poi iniziato a scendere, anche se molto lentamente. Dal 2020 in poi c’è stato un nuovo balzo, fino ai volumi attuali.
Siamo al picco del carbone?
Come proseguirà la traiettoria nel prossimo futuro? Sempre secondo l’IEA, è possibile che il 2023 sia stato l’anno del picco del carbone. Nell’ultimo rapporto di previsione, l’Agenzia ritiene che la domanda globale di carbone inizierà a scendere già nel 2024 e resterà piatta almeno fino al 2026. Anno in cui, rispetto a oggi, potrebbe essere il 2,6% in meno.
A guidare questa traiettoria sarà in ogni caso la Cina, il maggior consumatore mondiale di carbone. L’IEA ritiene che la combinazione di rallentamento della crescita economica di Pechino l’anno prossimo, ripresa dell’idroelettrico (messo in ginocchio dalla siccità) e crescita continuativa della nuova capacità installata di fonti rinnovabili (in particolare il fotovoltaico) porteranno a un calo strutturale della domanda nel paese asiatico.
In Cina continuano ad andare online nuove centrali
Cina che, nel frattempo, sta continuando a investire massicciamente nella realizzazione di nuove centrali a carbone. Solo tra gennaio e giugno, Pechino ha costruito 1,5 impianti a settimana. E la sua pipeline continua ad allungarsi, proseguendo l’accelerazione iniziata nell’estate del 2022. Ad oggi, la capacità totale in ballo nel paese asiatico, contando le centrali a carbone in costruzione, quelle in permitting o in pre-permitting e quelle solo annunciate, arriva a 557 GW. Gli impianti in costruzione o con iter autorizzativo già ultimato sono quasi la metà, 243 GW.
Il resto del mondo frena
Al contrario, nel resto del mondo la tendenza è ad abbandonare il carbone. Tanto che oggi il 70% della pipeline globale di nuovi impianti è localizzata nella sola Cina. Nel 1° semestre 2023 Pechino ha aggiunto quasi 26 nuovi GW mentre in tutto il resto del mondo ci si è fermati a meno di 9. India, Indonesia, Giappone, Pakistan e Vietnam ne totalizzano quasi 8,5 GW, di cui più di 1/3 nella sola India. Ma anche l’Europa non è immune: a febbraio è entrata in funzione la 5° unità della centrale a lignite di Ptolemaida, in Grecia.
La finanza non fa la sua parte
Anche se si investe meno nel carbone, a livello globale 4 aziende su 10 convolte in questo business hanno ancora piani per espandere l’estrazione della fonte fossile. Lo hanno calcolato 40 ong guidate dalla tedesca Urgewald che monitorano l’uscita dal carbone e il comportamento dei flussi globali della finanza. Solo il 5% delle oltre 1.400 aziende globali analizzate ha fissato una data ufficiale per l’eliminazione graduale del carbone. E se le aziende che scommettono di più nel carbone sono cinesi, gli investitori che le sostengono sono soprattutto statunitensi. Mentre le grandi banche europee alimentano, con i loro investimenti, il 30% della produzione di carbone negli USA. Che ad oggi restano il 4° produttore mondiale.
L’Italia rinvia il phase out
Luci e ombre anche per l’Italia. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, Roma ha deciso di rinviare lo stop a tutti gli impianti a carbone previsto inizialmente entro il 2025. Secondo il presidente di ARERA, verosimilmente la chiusura definitiva potrebbe avvenire tra il 2025 e il 2027, con eventuali ritardi legati alla necessità di rafforzare il collegamento della Sardegna con la rete elettrica del resto del paese. Intanto, in estate il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica aveva già disposto di mettere al minimo tutti gli impianti: i risparmi sul gas sono sufficienti e il rallentamento delle centrali è il passo propedeutico al loro spegnimento.
L’ultima novità riguarda la centrale di Fusina (Venezia) di proprietà di Enel. A inizio dicembre il ministero ha dato l’autorizzazione a spegnere anche le unità 3 e 4 da 280 MW ciascuna (la 1 e la 2 sono ferme dal 2022) dopo il 31 dicembre 2023. La riconversione in centrale a gas partirà ad agosto 2024. Per quelle di Civitavecchia e Brindisi lo stop è previsto entro il 2025, per quella di Portovesme, nel Sulcis, entro il 2027.