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Re Rebaudengo: Elettricità Futura, baricentro della transizione energetica

Il Presidente di EF ci consegna un’approfondita analisi sullo stato dell’arte della transizione energetica italiana, sul ruolo basilare che sta giocando la sua associazione e, specialmente, traccia gli scenari futuri alla luce delle recenti conclusioni della COP 28.

Elettricità Futura
Agostino Re Rebaudengo, Presidente di Elettricità Futura

di Mauro Spagnolo

(Rinnovabili.it) – La Cop28 si è conclusa con un accordo storico, raggiunto nelle prime 24 ore del vertice: l’ok al fondo a compensazione per le perdite e i danni, l’impegno globale di triplicare la capacità installata di rinnovabili entro il 2030 e dal più controverso, ed annacquato, abbandono graduale dei combustibili fossili. 

Presidente Re Rebaudengo, quali sono state le aspettative di Elettricità Futura per questa COP? Sono state rispettate?

Ci sono voluti 30 anni di negoziati climatici per veder nero su bianco le parole “combustibili fossili” in un accordo finale, anche solo per questo COP 28 passerà certamente alla storia. A mio avviso, è importante che l’accordo della COP 28 abbia anche specificato che è nei prossimi dieci anni che bisogna accelerare la fuoriuscita dai fossili. 

La transizione non è un’opzione, è l’unico percorso possibile. Questo decennio è davvero quello decisivo, e dopo averlo incluso nell’accordo adesso è necessaria una decisa implementazione delle tecnologie energetiche per la decarbonizzazione già mature e competitive, perché dobbiamo arrivare al target tenendo presente le necessità di sostenibilità sociale ed economica e di sviluppo industriale. 

La decarbonizzazione è imprescindibile, si tratta di una corsa per la sopravvivenza che non lascia spazio a incertezze. È un’intesa importante anche quella raggiunta da oltre 100 Paesi, tra cui l’Italia, alla COP 28 che prevede di triplicare la potenza rinnovabile installata al 2030 rispetto ad oggi. Adesso più che mai c’è bisogno della massima attenzione sul monitoraggio dei progressi per raggiungere gli obiettivi. 

Nella mia Relazione condivisa in apertura dell’Assemblea Pubblica Elettricità Futura dello scorso 16 novembre, ho spiegato che per raggiungere il target climatico 1,5 °C è necessario triplicare la capacità rinnovabile installata nel mondo entro il 2030.

Ho mostrato i dati di IRENA, secondo cui è tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile passare dagli attuali 300 GW/anno di nuove rinnovabili nel mondo a 1.000 GW/anno entro il 2030. L’Italia nel 2022 ha risparmiato 25 miliardi grazie alle rinnovabili, che attualmente rappresentano ancora soltanto il 43% dell’elettricità. Portare le rinnovabili all’84% del mix elettrico, come prevede l’obiettivo del Piano elettrico 2030 elaborato da Elettricità Futura, significa davvero aumentare la sicurezza energetica e rafforzare l’economia nazionale.

Un recente rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) calcola che le imprese energetiche con core business nelle fossili investono appena 2,5 dollari ogni 100 in energie pulite. Ma a livello globale, calcola sempre l’IEA, per ogni dollaro investito in fossili ne vengono investiti 1,7 in rinnovabili. Un volume di investimenti che, sebbene importante, non è ancora sufficiente per raggiungere gli obiettivi della transizione e rispettare l’Accordo di Parigi. 

In questo contesto, secondo EF quale deve essere il ruolo delle compagnie energetiche?

Rispetto ad altri settori, le imprese dell’energia hanno certamente il ruolo più strategico per la decarbonizzazione a livello mondiale, essendo l’energia tra i principali responsabili delle emissioni clima alteranti e anche un fattore abilitante per praticamente tutte le attività economiche (e umane). Fatta questa premessa, non va dimenticato che si tratta di imprese, e in quanto tali devono adottare prospettive di sviluppo lungimiranti che consentano di crescere e mantenere solidi equilibri finanziari.

Non c’è alcun dubbio che stiamo andando incontro ad un futuro pienamente decarbonizzato. È un cambiamento di portata epocale, e abbiamo poco tempo per realizzare la necessaria rivoluzione industriale. A fronte di queste due certezze, le imprese energetiche sanno cosa fare ed entro quando va fatto. 

È possibile riconvertire i processi produttivi indirizzando i nuovi investimenti verso tecnologie energetiche sostenibili già adesso competitive, e fare ricerca e sviluppo per posizionarsi nelle innovazioni tecnologiche che saranno pronte all’industrializzazione tra dieci anni. Gli investimenti energetici hanno già da anni, globalmente, intrapreso la virata verso la decarbonizzazione. Nel mondo oltre l’80% di nuova potenza elettrica realizzata nel 2022 è stata rinnovabile (300 GW su 360 GW), perché le rinnovabili riducono i costi e assicurano le forniture.

Alla COP 28, oltre 50 grandi imprese del settore Oil & Gas hanno sottoscritto l’accordo per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, ritenendolo fattibile.  Anche ENI l’ha sottoscritto, e probabilmente potrebbe arrivare anche al 2035 ad azzerare le emissioni prodotte dallo sviluppo dei processi industriali, considerando che nel 2026 arriverà a dedicare il 30% degli investimenti complessivi alle attività zero e low carbon.

Il settore elettrico italiano ha già un buon posizionamento nell’innovazione tecnologica sostenibile, è un’eccellenza a livello mondiale. 

Il Piano elettrico 2030 di Elettricità Futura già prevede investimenti per 320 miliardi per sostanzialmente triplicare il parco rinnovabili installato in Italia al 2030 che dovrà arrivare a quasi 150 GW, così da raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione del REPowerEU confermato dagli Accordi di COP 28.

La priorità è far crescere la filiera delle tecnologie elettriche rinnovabili e smart nazionale, che attualmente con oltre 12 miliardi di euro di fatturato conta oltre 800 imprese. I benefici socio-economici per l’Italia derivanti dallo sviluppo di questo settore potrebbero equivalere fino al 2% del PIL annuo da qui al 2030.

Il Governo Meloni ha basato sull’approvvigionamento di gas fossile gran parte della strategia per garantire la sicurezza energetica del Paese post guerra in Ucraina. Come valuta questo orientamento dell’esecutivo? Investire nel gas sottrae risorse alle rinnovabili o è compatibile con lo sviluppo dell’energia pulita ai ritmi fissati con il nuovo PNIEC?

Con l’aggressione della Russia all’Ucraina, il Governo italiano si è trovato a dover fronteggiare un’emergenza energetica, dovendo mettere in sicurezza un Paese come l’Italia che scotta decenni di politiche energetiche che hanno aumentato la nostra dipendenza dall’estero. Non potendo più importare gas dalla Russia, allora principale fornitore dell’Italia, si è cercato di spostare le importazioni facendo accordi con altri Paesi. Probabilmente, in quel frangente, appariva come una via obbligata, essendo il nostro un Paese povero di gas.

Oggi, la priorità per la politica energetica dell’Italia è accelerare le leve in grado di aumentare l’indipendenza e la sicurezza, anche economica. Non è solo un problema di chi ci vende il gas, la volatilità dei prezzi è una caratteristica strutturale dei combustibili fossili, e il nostro Paese è tra i più esposti a questo rischio perché importiamo gas per il 96%. Le fluttuazioni del prezzo del gas si trasferiscono rapidamente sui prezzi dell’energia elettrica perché oggi in Italia solo il 43% dell’elettricità viene prodotta con le rinnovabili.

Se a questo fattore aggiungiamo gli impegni di decarbonizzazione sottoscritti dall’Italia (il cui rispetto è condizione per ottenere le risorse del PNRR e per non doverle restituire!), e la maggiore competitività economica delle rinnovabili, le uniche energie di cui l’Italia dispone in abbondanza, è lampante che la soluzione ottimale sia accelerare la transizione energetica.

Il Governo, nel recente Dl Sicurezza energetica, riconoscendo la competitività di costo delle rinnovabili ha avviato una norma per favorire la diffusione di impianti solari ed eolici a beneficio delle imprese che hanno un forte consumo di energia elettrica, affinché possano averla a costi competitivi. In molte recenti occasioni mediatiche mi è stata posta la questione: importare tecnologie per la transizione, pannelli fotovoltaici ad esempio, non rischia di spostare la dipendenza dal gas russo alle tecnologie cinesi?

Faccio una premessa: da tempo Elettricità Futura lavora su tanti fronti per rafforzare la capacità produttiva di tecnologie per la transizione energetica, sviluppando la filiera industriale nazionale che è già un’eccellenza per l’elevata qualità e il livello di innovazione delle linee di produzione.  

Il Piano elettrico 2030 elaborato da Elettricità Futura prevede che raggiungendo il target dell’84% di rinnovabili nel mix elettrico al 2030, le imprese della transizione energetica saranno capaci di creare in Italia 360 miliardi di benefici economici e oltre mezzo milione di nuovi posti di lavoro. Se ancora per qualche anno si renderà necessario importare tecnologie fotovoltaiche, è e sarà sempre più conveniente rispetto a importare combustibili fossili, e non solo da un punto di vista climatico, ma anche economico.

Secondo i dati dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, a parità di budget investito, gli impianti fotovoltaici ci danno anche oltre 3 volte più energia elettrica rispetto al gas. Peraltro, questo calcolo considera tutti i costi per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico, mentre per il gas tiene conto soltanto del costo della materia prima.

Il DL Energia ha proposto l’istituzione di un fondo di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale allo scopo di incentivare le regioni e le province autonome ad ospitare impianti a fonti rinnovabili. I produttori di energia a fonte rinnovabile, proprietari di impianti di potenza superiore a 20 kW, dovranno versare nel fondo un contributo di 10 €/kW per tre anni a partire dal 1° gennaio 2024. 

Come valuta questa misura e l’operato del governo sugli altri provvedimenti in preparazione per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia (Aree Idonee, FER X, l’idea di un testo unico sulle rinnovabili)?

Elettricità Futura sta interloquendo con il MASE e il GSE per comprendere come sarà gestito il fondo di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale e se queste risorse versate dalle imprese possano effettivamente trasformarsi in un incentivo per le Regioni e le Provincie ad ospitare i nuovi progetti rinnovabili.

Certamente questa misura rappresenta un ulteriore aggravio economico per le imprese, già messe in difficoltà da una serie di fattori: sono aumentate le spese per la logistica, è salito il costo delle materie prime, il costo del denaro è triplicato. In aggiunta, a far lievitare i costi concorrono anche le lungaggini autorizzative.

A fronte di questo quadro, lo scotto di un ulteriore contributo pagato dalle imprese dovrebbe essere legato, come la ratio della previsione sembrerebbe suggerire, ad un efficientamento dei procedimenti autorizzativi a partire dal rispetto da parte delle Regioni delle tempistiche fissate per la conclusione dei medesimi, unica garanzia questa per poter costruire gli impianti che servono al Paese per aumentare la sicurezza e l’indipendenza nazionale.

La bozza di Decreto aree idonee prevede il target di 80 GW di rinnovabili entro il 2030, il che è un aspetto positivo. Ci sono ancora alcuni correttivi da apportare alla bozza di Decreto affinché riesca davvero ad accelerare la realizzazione dei nuovi impianti e si eviti la possibilità (concreta) che al contrario possa ostacolarli, mettendo a rischio l’obiettivo stesso che il Decreto indica.

Per il FER X, Elettricità Futura ha trasmesso le proprie osservazioni al MASE in relazione alla Consultazione sulla regolamentazione della promozione degli impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività di mercato. E’ un bene che il MASE abbia accolto la nostra proposta di adeguare le tariffe delle aste all’inflazione, un passo necessario perché sono aumentate le spese per la logistica, è salito il costo delle materie prime, il costo del denaro è triplicato, e ad aggravare la situazione ci sono pure le lungaggini autorizzative. Tra le diverse proposte avanzate, Elettricità Futura ha anche segnalato la necessità che la versione finale del Decreto FER X assicuri più procedure annuali, attualmente il testo ne prevede solo una. 

Abbiamo chiesto di evitare ogni forma di penalizzazione per gli interventi di repowering e di prevedere tempistiche più ampie di entrata in esercizio degli impianti, in particolare per il fotovoltaico.

Da tempo Elettricità Futura sostiene l’importanza di introdurre un Testo Unico del quadro normativo dei progetti della transizione energetica. Il Governo ha avviato diverse misure di semplificazione della burocrazia, azioni positive ma frammentate che finiscono per non ottenere un sufficiente risultato, perché creano incertezza sia nei funzionari pubblici che devono applicare quelle regole sia nelle imprese che devono scegliere l’iter autorizzativo da seguire.

Il Testo Unico, la cui introduzione è prevista anche nell’aggiornamento del PNRR e nella bozza del nuovo PNIEC, serve quindi non solo per ordinare e rendere organiche le numerose semplificazioni avviate, ma proprio per permetterne l’applicazione concreta. Tuttavia, attendiamo di conoscere le modalità concrete che gli daranno vita. Ci sono anche altri tasselli da mettere a posto.

Quali?

Uno riguarda le bioenergie, al più presto bisogna sistemare il quadro normativo e trovare una soluzione all’assegnazione di un’integrazione ai ricavi. Attualmente questo settore delle rinnovabili è veramente in difficoltà per l’aumento dei costi della materia prima, l’incertezza delle prospettive future degli impianti, i programmi di massimizzazione che esauriscono i propri effetti, i minimi garantiti ancora da attuare e i vincoli imposti dalla RED III.

Preoccupa la misura del DDl Bilancio 2024 che prevede la tassazione dei proventi derivanti dalla cessione del diritto di superficie dei terreni agricoli destinati ad ospitare impianti rinnovabili perché provocherà un aumento del prezzo dell’energia elettrica

Un altro problema molto sentito dai nostri operatori è la saturazione virtuale della rete di trasmissione, e andrebbe risolto il prima possibile. Già l’ammontare delle richieste di connessione pervenute a Terna, arrivate a 315 GW, dimostra che il problema c’è. Bisogna trovare nuovi criteri di connessione alla rete affinché i progetti con basi solide dal punto di vista tecnico e finanziario possano avere certezza di realizzazione. 

Sono confidente sulle proposte indicate da Terna, che coincidono in larga parte con le richieste di Elettricità Futura tra cui migliorare il sistema di gestione delle connessioni, aumentare il corrispettivo, semplificare la disciplina di decadenza e rafforzare l’interazione tra il Gestore di rete, le Regioni e i Comuni.

Di recente, la Commissione VIA-VAS ha fatto notare che bisognerebbe dare la maggior priorità autorizzativa ai progetti con connessione accettata e confermata, perché attualmente dopo aver ottenuto la VIA, i progetti restano sulla carta anche per la saturazione della rete. Il tema delle connessioni potrebbe essere risolto anche con una maggiore integrazione tra le procedure VIA e le piattaforme informative di Terna. Insomma, vista così la transizione potrebbe sembrare un puzzle impossibile, ma non lo è!

EF ha elaborato tre scenari con configurazioni diverse tra fotovoltaico rooftop e a terra, ricavandone che i costi più bassi per MWh si ottengono con una quota sostanziale o totale di pv a terra. Una prospettiva che agita il timore di consumo eccessivo di suolo, condiviso anche da molti enti locali. È un timore infondato? 

Allo stato attuale, è pensabile puntare in modo massiccio sull’agrivoltaico? E, se sì, quale tipologia: quello base, l’agripv avanzato, o un mix dei due?

Elettricità Futura ha elaborato il Piano elettrico 2030 progettando un percorso in grado di massimizzare i benefici per il sistema Paese, mirando sia a decarbonizzare il settore elettrico in coerenza con il target REPowerEU, sia ad abbassare i costi dell’energia, pur prevedendo comunque la crescita della piccola generazione distribuita. L’obiettivo del Piano elettrico 2030 è arrivare all’84% di quota rinnovabile nel mix elettrico, rispetto all’attuale 43%.

Si può arrivare all’obiettivo attraverso più strade, abbiamo comparato tre scenari.

In uno scenario 100% di fotovoltaico sui tetti un MWh costa 180 €. Nello scenario del Piano elettrico 2030 che prevede 30% sui tetti e 70% a terra, si ha un costo di generazione di 110 €/MWh. In un terzo scenario, 100% fotovoltaico a terra, generare 1 MWh costa 80 €. Quindi, gli impianti fotovoltaici sui tetti hanno un costo di generazione dell’energia più che doppio di quello degli impianti a terra. Lo scenario del Piano 2030 consente oltre 20 miliardi di risparmi sulla generazione (2024-2030) rispetto al 100% sui tetti.

È un falso problema quello del consumo di suolo, basta lo 0,2% del territorio per raggiungere l’obiettivo del Piano elettrico 2030.

Ai decisori locali e ai cittadini che nutrono timori per il territorio rispetto alla diffusione del fotovoltaico, va spiegato che gli impianti fotovoltaici non implicano impermeabilizzazione del suolo e/o coperture artificiali permanenti (a differenza del cemento degli edifici e dell’asfalto delle strade). È bene anche che si comprenda, una volta per tutte, che la superficie utilizzata dal fotovoltaico torna al suo utilizzo precedente terminata la vita utile dell’impianto: le imprese hanno l’obbligo di riportare le aree alle condizioni iniziali. Piuttosto che preoccuparsi per timori infondati, sarebbe davvero più opportuno occuparsi invece delle reali urgenze dei territori. 

Secondo il recente Rapporto Territori 2023 realizzato da ASviS, quasi tutte le Regioni hanno cattive performance rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile, e il Rapporto raccomanda di intervenire con urgenza per ridurre i danni dovuti al cambiamento climatico, utilizzando l’Agenda 2030 come quadro di riferimento comune per tutte le politiche pubbliche.

L’agrivoltaico, secondo Elettricità Futura, è una soluzione che valorizza la sinergia tra la produzione energetica ed agricola. Le regole sull’agrivoltaico sono ancora frammentate e a volte poco coerenti, appaiono in numerose disposizioni emanate da diversi livelli di governance (leggi nazionali e regionali, alcune già pubblicate altre in corso di emanazione) e in normative tecniche (GSE, CEI, UNI). Queste varie disposizioni non sono sempre coordinate tra loro e pongono diversi dubbi di natura interpretativa, causando ritardi negli iter autorizzativi il cui esito, troppo spesso, dipende dall’orientamento dall’Ente chiamato ad esprimersi.

Per superare queste criticità e sviluppare efficacemente l’agrivoltaico, riteniamo sia indispensabile considerare alcuni aspetti. 

Occorre promuovere il ruolo degli operatori energetici nello sviluppo e nella gestione dei sistemi agrivoltaici, due attività che richiedono un elevato know-how tecnico inerente sia alla tecnologia e alla progettazione impiantistica, sia alla produzione e gestione dell’energia elettrica. Inoltre, gli operatori energetici hanno la capacità economico-finanziaria necessaria ad avviare gli importanti investimenti che richiede l’agrivoltaico, una tecnologia capital intensive.

Infine, un ulteriore aspetto di grande rilievo è quello dei criteri per qualificare gli impianti agrivoltaici: la sua attuale regolazione dovrebbe tenere conto anche del carattere sperimentale della tecnologia richiamando parametri chiari, flessibili e non predeterminati rigidamente.