L’impianto in provincia di Siracusa fornisce da solo il 22% del fabbisogno annuo nazionale di prodotti derivati dalla raffinazione (carburanti, gasolio, benzina). Sospendere le operazioni del sito di proprietà della Litasco Sa, parte del gruppo russo Lukoil, avrebbe effetti a cascata su buona parte dell’economia italiana. Il governo ha deciso di commissariare la raffineria e ha ricevuto garanzie da Washington che le linee di credito in questa fase ‘ponte’ non incorreranno in sanzioni
Intervento in extremis del governo per salvare la raffineria ISAB
(Rinnovabili.it) – La raffineria più grande d’Italia continuerà a produrre nonostante l’embargo sul petrolio russo in vigore da oggi. E le operazioni finanziarie per tenerla a galla, finché non si troverà una soluzione definitiva per sfilarla a Lukoil, non rischiano di incappare nelle sanzioni americane. Tira un sospiro di sollievo il polo petrolchimico siracusano dove si trova la raffineria ISAB di Priolo, che vale 16 milioni di tonnellate di produzione annua, circa 10mila posti di lavoro contando l’indotto nell’intera area industriale e il 53% del pil della provincia di Siracusa. E ha un’importanza strategica per l’Italia: da sola fornisce il 22% dell’intero fabbisogno annuo prodotti derivati dalla raffinazione (carburanti, gasolio, benzina) usati in Italia. Se si blocca, l’intero comparto nazionale va in crisi.
Il governo salva la raffineria ISAB
L’intervento del nuovo governo è arrivato quasi in extremis, con un decreto emanato il 1° dicembre. La soluzione è intermedia: amministrazione fiduciaria dello stato. L’impianto non viene nazionalizzato ma non si è nemmeno riusciti a trovare un compratore non russo. Questa è però l’opzione su cui si sta ancora lavorando, e per concretizzare la quale il decreto dà tempo 2 anni (1 anno, rinnovabile di altri 12 mesi). Il Financial Times di recente è tornato a ventilare l’ipotesi di un interessamento del fondo Usa d’investitori privati Crossbridge Energy Partners.
Cosa cambierà con l’amministrazione fiduciaria? Il sito di Priolo viene commissariato da Roma. Formalmente resta di proprietà di Lukoil, o meglio della svizzera Litasco Sa, società parte del gruppo russo. Ma viene nominato un commissario che prende il controllo operativo dell’impianto e vengono sostituiti gli organi di amministrazione. Il commissario si può avvalere di società a controllo pubblico che operano nello stesso settore (leggi: Eni). Ipotesi ventilata dallo stesso ministro delle imprese e made in Italy (Mimit) Adolfo Urso.
Per preparare questa via d’uscita per la raffineria ISAB, il governo Meloni ha replicato l’operazione effettuata a settembre dalla Germania per salvare la raffineria di Schwedt, di proprietà della russa Rosneft. Un modo per andare sul sicuro e non inciampare in beghe legali o, peggio ancora, sanzioni.
Quale petrolio?
Le operazioni quindi possono continuare: ma con quale petrolio? La raffineria ISAB, infatti, è stata concepita per trattare essenzialmente il greggio russo, qualità Ural. Per farne a meno ci sono due strade. La via più breve è rifornirsi di un mix di greggio che garantisca caratteristiche simili all’Ural. Questo implica avere accesso ai mercati internazionali e poter effettuare transazioni finanziarie senza timore di far scattare l’allarme rosso al dipartimento del Tesoro americano. L’altra strada possibile è convertire l’impianto e ‘tararlo’ su altre qualità di greggio. Ma questa soluzione richiede tempo e non garantisce la continuità delle operazioni.
Ovviamente, il governo punta a rendere possibile la prima soluzione. E sabato il titolare del Mimit ha fatto sapere di aver ricevuto luce verde da Washington. “Abbiamo ricevuto una lettera dalle autorità statunitensi con la garanzia che le banche che finanziano le operazioni ponte non saranno soggette a sanzioni americane”, ha detto Urso a Reuters. La lettera proviene dall’Office of Foreign Assets Control (Ofac) presso il dipartimento del Tesoro Usa e cita un prestito erogato da alcune banche italiane e da Cassa depositi e prestiti. Tradotto: la raffineria ISAB può acquistare greggio sui mercati internazionali continuando a usare lettere di credito.
Una versione diversa arriva invece dal dg dell’impianto di Priolo, Eugene Maniakhine. Sentito dal Sole 24 Ore, afferma che la raffineria è pienamente in grado di operare anche con petrolio non russo e che può acquistare sui mercati i quantitativi necessari. Non con lettere di credito ma con pagamenti cash. (Solitamente, chi compra greggio lo fa attraverso una lettera di credito con cui una banca si fa garante del pagamento). Una versione che fa a pugni con tutto quello che è successo dal 24 febbraio all’altro ieri: prima della guerra in Ucraina Priolo usava un mix composto al 40% da greggio russo, con l’invasione la quota era salita al 100%. Rendendo l’Italia il massimo acquirente europeo di petrolio russo, e l’unico stato ad aver aumentato l’import invece di contenerlo. E, di fatto, il massimo ‘riciclatore’ di greggio del Cremlino. Delle due l’una: o comprare solo dalla Russia non era necessario, oppure è necessario anche adesso (con l’amministrazione corrente). Il commissariamento, insieme alle garanzie americane, dovrebbe fare tabula rasa e risolvere tutti i possibili inconvenienti.