La misura più radicale mai proposta per ristabilire il ciclo dell’azoto vacilla sotto la spinta della protesta degli allevatori olandesi
(Rinnovabili.it) – La protesta degli allevatori olandesi fa irruzione in senato e conquista più seggi del partito del premier. Le elezioni regionali di ieri hanno segnato l’ingresso nella camera alta del nuovo partito populista BoerBurgerBeweging (BBB), il Movimento Contadino-Cittadino che fa da megafono alle istanze di aziende agricole e grandi allevatori dei Paesi Bassi. Un fronte in lotta ormai da 4 anni contro la proposta del governo di dimezzare il numero di capi di bestiame per ridurre l’inquinamento da azoto nei terreni.
Exploit elettorale
Alle elezioni regionali nelle 12 province olandesi i cittadini non scelgono soltanto i loro rappresentanti locali ma, indirettamente, anche i senatori (saranno indicati proprio dai politici locali fra due mesi). Secondo le proiezioni, il BBB sarebbe riuscito a ottenere 15 seggi su 70, mentre il partito del premier Mark Rutte sarebbe sceso da 12 a 10 senatori.
Un risultato che mette in discussione la capacità politica del governo di portare avanti la riforma degli allevamenti. E permette al partito di vigilare sulle proposte del parlamento. “Nessuno può più ignorarci”, ha dichiarato la leader del BBB, Caroline van der Plas, a una radio olandese. “Gli elettori si sono espressi molto chiaramente contro le politiche di questo governo”. Finora, il Movimento Contadino-Cittadino aveva ottenuto appena 1 seggio in parlamento alle elezioni del 2021.
I motivi della protesta degli allevatori olandesi
Tutto inizia nel 2017. Una piccola ong, Mobilisation for the Environment, si rivolge alla Corte europea di giustizia per denunciare le mancanze nel sistema governativo di prevenzione dell’inquinamento da azoto nelle aree Natura 2000, obbligatorio secondo la Direttiva Habitat. L’anno dopo arriva la sentenza: le regole olandesi sono troppo blande, dice la Corte, in un parere che viene poi confermato a maggio 2019 da un tribunale amministrativo olandese. Qui arriva il primo scossone: la decisione congela tutti i permessi di rilascio di azoto nei terreni, colpendo circa 18mila tra allevamenti, cantieri e altri progetti.
Un comitato di esperti nominato dal governo indica due soluzioni: diminuire i limiti di velocità (per limitare i NOx) e agire sugli allevamenti. Se la prima misura incide solo sul 6% dell’inquinamento da azoto, agricoltura e bestiame sono responsabili del 46% delle concentrazioni eccessive di azoto. Nasce qui la proposta del governo (formulata da Tjeerd de Groot di D66) di dimezzare i capi di bestiame del paese per ottemperare alla sentenza della Corte europea di giustizia. È il secondo scossone: la scintilla che innesca la protesta degli allevatori olandesi.
Una lunga fila di trattori marcia sull’Aia il 1° ottobre 2019, raggiunge la città, blocca il traffico (le code in tutto raggiungono i 1.000 km), occupa spazi pubblici e distrugge segnaletica e arredi urbani in alcune zone. È la prima di molte proteste simili che si succederanno negli anni, intrecciandosi poi anche con altri moventi (con la pandemia e il movimento contro i lockdown e i vaccini) e ispirando analoghe proteste altrove, dal Belgio al Canada.
Il governo vacilla, ma dopo le nuove elezioni del 2021 il premier Rutte ripropone il taglio radicale dei capi di bestiame. E con esso continuano le proteste, l’ultima l’11 marzo di quest’anno, sempre all’Aia, dove a fianco degli allevatori sfilano anche Samen voor Nederland (Insieme per l’Olanda) e altri movimenti nati come anti-lockdown e poi trasfigurati in anti-establishment.
Cosa vuole fare il governo contro l’inquinamento da azoto?
L’Olanda è grande appena come Lombardia e Veneto e ha solo 17 milioni di abitanti, ma deve sostenere circa 100 milioni di capi di bestiame. Una densità altissima che grava sul ciclo dell’azoto – arriva negli ecosistemi in forma di ammoniaca contenuta nei liquami e nel letame – e mette il paese al 1° posto in Europa per export di carne.
L’ultima versione della proposta di legge per dimezzare la concentrazione di azoto nei terreni prevede un ampio ventaglio di misure di supporto agli allevatori durante la fase di transizione. Resta l’obiettivo centrale, il -50% entro il 2035, ma temperato da 25 miliardi di incentivi agli allevatori per trasferire il loro business in aree meno inquinate oppure per abbandonarlo del tutto. È previsto un supporto anche per chi sceglie di lasciare un modello intensivo di allevamento a favore di uno estensivo.
Non c’è alcun obbligo per gli allevatori: la scelta se sfruttare gli incentivi o continuare come prima è totalmente libera. Ma sul tavolo resta una opzione estrema che il governo può attivare se il target non dovesse essere raggiunto: il ricorso all’esproprio.