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I progetti oil&gas in programma divoreranno da soli tutto il budget di CO2 che ci resta

Domanda globale di petrolio: ai livelli pre-Covid già nel 2022
Foto di Schmucki da Pixabay

1/5 dei nuovi progetti oil&gas è negli USA

(Rinnovabili.it) – I progetti oil&gas che dovrebbero partire in tutto il mondo nei prossimi 7 anni faranno sicuramente fallire gli obiettivi sul clima. Per vincere la sfida del “decennio cruciale” per la transizione, come lo definisce l’ONU e viene ripetuto in ogni comunicato internazionale, dal G20 alla COP26, non basta smettere di pianificare nuovi pozzi. Bisogna cancellare i piani esistenti. È quello che emerge da uno studio realizzato dall’università di Leeds, che è stato anticipato dal Guardian prima della pubblicazione su Energy Policy.

Sono in tutto 195 quelle che lo studio chiama “bombe di carbonio”: giacimenti di petrolio e gas, convenzionali o shale, che stanno per essere sfruttati dalle principali compagnie degli idrocarburi. Ciascuna di queste bombe emetterà, nell’arco della sua durata di vita, almeno 1 Gt di CO2. Ma il totale stimato dai ricercatori di Leeds è decisamente più alto. Parliamo di 646 Gt di anidride carbonica. In pratica, questi progetti divorano da soli l’intero budget di carbonio che resta alla Terra per non sforare gli 1,5 gradi.

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Quasi 1/5 dei nuovi siti estrattivi si trova negli Stati Uniti, di gran lunga il principale inquinatore con 140 Gt di CO2 in pipeline. Seguono l’Arabia Saudita con 107 Gt, la Russia con 83, il Qatar con 43, e poi altri paesi come Canada, Brasile, Iran, EAU, Iraq e Cina tutti con 23-28 Gt a testa. La graduatoria cambia leggermente se si considera quali di questi progetti ha già ricevuto finanziamenti: la maggior parte del denaro è già stanziato per Medio Oriente (oltre 32 mld di barili), Russia (22,6 mld) e Nord America (22,1 mld). Complessivamente, calcola lo studio, i 195 progetti oil&gas estrarranno 192 miliardi di barili equivalenti. Dei quali il 60% (pari a 116 mld di barili) ha già ricevuto una copertura finanziaria.

“O gli scienziati hanno trascorso 30 anni a lavorare su questo tema e si sono sbagliati (e gli ad delle grandi compagnie petrolifere conoscono meglio di loro la realtà), oppure, dietro un velo di preoccupazione, hanno un totale disinteresse per le comunità più vulnerabili al clima, tipicamente povere, di colore e lontane dalle loro vite. Altrettanto preoccupante è il loro disinteresse per il futuro dei propri figli”, commenta lo scienziato climatico Kevin Anderson del Tyndall Centre of Climate Research dell’Università di Manchester e dell’Università di Uppsala.

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