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Processo Giudizio Universale, l’Italia fugge dal contenzioso climatico

Ieri la 2° udienza del contenzioso climatico contro l’Italia. La difesa dello stato è sottrarsi al processo rivendicando l’immunità per le scelte dei governi in materia di clima. Il climatologo Luca Mercalli, uno dei ricorrenti: “L'emergenza climatica è sotto gli occhi di tutti. Oggi più che mai è fondamentale che le istituzioni pubbliche ascoltino la scienza e agiscano con decisione e rapidamente”

Processo Giudizio Universale: “Impossibile giudicare l’Italia per la sua azione climatica”
crediti: Giudizio Universale

Sono 24 associazioni e 193 cittadini i ricorrenti al processo Giudizio Universale

(Rinnovabili.it) – Le scelte dei governi italiani sulle politiche climatiche non possono essere giudicate in tribunale. Che decida di alzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni o continuare a elargire sussidi fossili, ogni esecutivo gode dell’immunità e non c’è questione di giustizia climatica che tenga. È la tesi con cui ieri, durante la seconda udienza, l’avvocatura dello stato ha scelto di affrontare il processo Giudizio Universale, il contenzioso climatico che vede 24 associazioni e 193 cittadini contestare l’azione per il clima dell’Italia.

Lo stato italiano fa muro

“Se la tesi dell’avvocatura fosse accolta, ai cittadini e alle cittadine verrebbe precluso l’accesso alla giustizia, a differenza di quanto accaduto ad esempio in Olanda, Francia, Germania e tanti altri paesi dell’Unione Europea e non solo. In tali Paesi non solo il giudice ha potuto valutare l’adeguatezza delle politiche climatiche nazionali, ma ha anche condannato gli Stati a migliorare i propri target di riduzione”, ha dichiarato l’avvocato Luca Saltalamacchia, del team legale che assiste i ricorrenti.

La posizione dello stato italiano è netta e punta a far accartocciare il processo Giudizio Universale su se stesso. Smontandone non gli argomenti, ma la legittimità stessa. Una linea di difesa che non ha pagato con altri paesi europei, che hanno ricevuto sentenze di condanna per motivazioni analoghe a quelle brandite dai ricorrenti.

Tra il 2015 e il 2019, l’Olanda ha perso tutti i processi di un contenzioso climatico che si è chiuso con una condanna e l’obbligo di ridurre almeno del 25% le emissioni entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990. La Francia ha provato a sottrarsi al processo, lanciato nel 2019 da 4 ong che accusano Parigi di politiche climatiche troppo blande. Ma il tribunale ha prima intimato al governo di rispondere nel merito, e poi l’ha condannato a correggere la rotta per poter realisticamente rispettare i suoi obiettivi sul clima. Anche la Germania è stata condannata, e nel giro di una settimana ha rivisto al rialzo i suoi target, anticipando di 5 anni, al 2045, la data della neutralità climatica, e aumentando i tagli alle emissioni di gas serra.

Qual è l’accusa al processo Giudizio Universale?

Secondo ong e ricorrenti, l’Italia è pienamente consapevole della gravità della crisi climatica ma non sta facendo nulla per accelerare la sua azione climatica come dovrebbe. Il calo delle emissioni degli ultimi lustri dipende più dalle varie crisi economiche che dal risultato di politiche ad hoc, accusano. Trasporti ed edilizia continuano a far crescere le loro emissioni, ad esempio.

E se si guarda il Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima), le misure aggiuntive dovrebbero portare ad appena un -36% di gas serra rispetto al 1990. “Questa riduzione è incompatibile con la “quota equa” (fair share), il giusto contributo di riduzione delle emissioni che l’Italia è tenuta ad implementare al fine di rispettare l’obiettivo di 1.5°C dell’Accordo di Parigi”, sostengono i ricorrenti. L’Italia quindi non rispetta gli impegni che si è assunta in più sedi e occasioni, dall’accordo di Parigi a diversi regolamenti UE.

Le richieste al giudice sono di dichiarare che lo stato italiano “è responsabile della situazione di pericolo derivante dalla sua inerzia nel contrasto all’emergenza climatica” e di condannarlo “ad abbattere le emissioni di gas serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, valore che è considerata la quota equa per il Belpaese.

Il climatologo Luca Mercalli, ricorrente della causa e tra i promotori della campagna con la Società Meteorologica Italiana, ha commentato l’udienza a partire dalle cronache drammatiche di questi giorni: “L’emergenza climatica è sotto gli occhi di tutti. Il Po sta vivendo una delle peggiori secche della storia, la crisi idrica ha costretto oltre un centinaio di comuni del nord a dichiarare lo stato di emergenza e a razionare l’acqua, l’agricoltura è in ginocchio. Sulle Alpi la riserva idrica sotto forma di neve è esaurita con oltre un mese e mezzo d’anticipo e le temperature di maggio e giugno sono prossime ai record plurisecolari di caldo. Oggi più che mai è fondamentale che le istituzioni pubbliche ascoltino la scienza e agiscano con decisione e rapidamente per evitare uno scenario climatico drammatico e irreversibile”.