Al vertice di Dubai si svolge l’ultimo passaggio, politico, del primo Global Stocktake
(Rinnovabili.it) – Durante la Cop28 di Dubai (30 novembre – 12 dicembre) sentiremo molto parlare del primo Global Stocktake. Un’espressione per addetti ai lavori, che è però uno dei temi più importanti del vertice sul clima di quest’anno. Di che cosa si tratta? Perché è un passaggio importante per l’azione climatica globale? Di cosa parleranno gli stati durante i negoziati negli Emirati?
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Che cosa significa primo Global Stocktake?
Letteralmente, Global Stocktake significa “bilancio globale” e si riferisce ai progressi nelle azioni contro la crisi climatica. Si tratta di un processo istituito dall’Accordo di Parigi (sotto l’articolo 14) che si deve svolgere regolarmente, ogni 5 anni. Serve per monitorare collettivamente i progressi compiuti nell’ultimo lustro, valutare i risultati ottenuti in relazione alle indicazioni della scienza del clima, e stabilire, sempre collettivamente e per consenso, le correzioni di rotta necessarie per rispettare gli obiettivi del Paris agreement.
Concretamente, negli ultimi 2 anni gli stati membri della Convenzione Quadro dell’ONU sul Cambiamento Climatico (UNFCCC), che organizza e gestisce il processo negoziale delle Cop, insieme ad alcuni enti non statuali (sovranazionali o enti di ricerca), hanno depositato le loro valutazioni sui progressi compiuti finora. L’UNFCCC ha poi vagliato questo materiale producendo un rapporto tecnico, pubblicato a settembre, in cui fa il punto sui suggerimenti statali per ricalibrare l’azione climatica e aggiunge delle raccomandazioni basate sulla scienza del clima.
L’ultimo passaggio del processo del primo Global Stocktake è prettamente politico e si svolgerà alla Cop28: gli stati devono trovare un’intesa su quali saranno i cardini dell’azione per il clima nei prossimi anni.
Cosa scrive l’UNFCCC nel rapporto tecnico sul Global Stocktake?
Il primo Global Stocktake partirà proprio dal rapporto tecnico dell’UNFCCC. Nel quale sono presenti indicazioni molto chiare. L’organismo ONU scrive che siamo fuori strada su tutti i fronti per non sforare gli 1,5 gradi. Oltre a ribadire che le emissioni globali devono calare del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019, il documento specifica che i tagli devono raggiungere -60% nel 2035. Il potenziale espresso dagli impegni presi formalmente dagli stati, oggi, ci porta su una traiettoria di 2,4-2,6°C di riscaldamento globale, mentre se si contano anche gli impegni a lungo termine (che sono però poco concreti, quindi poco credibili) si arriverebbe a 1,7-2,1°C.
Molto importanti le indicazioni fornite dall’UNFCCC nel primo Global Stocktake su come aumentare l’ambizione climatica. Un punto cruciale è inserire, nei contributi nazionali volontari che gli stati devono depositare all’organismo ONU almeno ogni 5 anni, degli obiettivi espressi in termini di riduzioni assolute delle emissioni invece che, come molti fanno, in termini di riduzione dell’intensità emissiva rapportata al pil. In questo modo si avrebbero tagli veri.
Ci sono poi alcuni suggerimenti di nuovi obiettivi globali per raddrizzare la rotta. I tre più importanti sono al centro dei negoziati a Dubai. Si tratta di raddoppiare l’efficienza energetica mondiale, triplicare la capacità installata di rinnovabili a livello globale, e di trovare un’intesa sul phase out di tutte le fonti fossili. Quest’ultimo punto, come abbiamo spiegato in un approfondimento, è molto controverso e rappresenta lo scoglio principale da superare a Dubai. Infine, il rapporto tecnico sottolinea l’importanza di iniettare ambizione nel nuovo target globale sull’adattamento e nel funzionamento del Meccanismo Perdite e Danni, entrambi ancora in discussione alla Cop28.
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I nodi al centro dei negoziati
Oltre a fissare questi target, la discussione a Dubai sul primo Global Stocktake verterà anche su alcuni punti e principi da inserire nel testo della decisione finale. Anche su di essi le posizioni degli stati variano molto e non mancano le occasioni di attrito.
Quella forse più evidente è la richiesta, da parte del Sud globale, di introdurre riferimenti chiari al principio di equità e a quello di responsabilità comuni ma differenziate. In questo modo si vuole mettere un primo tassello per giustificare la richiesta che, in proporzione, siano i paesi sviluppati – in quanto maggiori responsabili della crisi climatica – ad aumentare prima e di più l’ambizione climatica, mentre la transizione dei paesi in via di sviluppo procederebbe a passo più lento.
Alcuni paesi e gruppi negoziali vorrebbero istituire un meccanismo di verifica per individuare chi non rispetta gli impegni sull’azione climatica, altri chiedono di introdurre indicatori globali per rispettare gli 1,5 gradi, altri ancora di considerare i costi sociali ed economici connessi alla lotta alla crisi climatica (un altro modo per arrivare a chiedere responsabilità comuni ma differenziate: è la priorità di paesi come Cina e Russia).
C’è invece sul tavolo una richiesta da parte di molti paesi sviluppati, Stati Uniti in testa, che prevede che tutti i maggiori emettitori presentino contributi nazionali volontari allineati a 1,5 gradi entro il 2030: una mossa per costringere anche la Cina, primo inquinatore mondiale, a fare la sua parte (e rallentarne l’ascesa economica). Lo sfondo di questi ultimi nodi negoziali è la diatriba su come calcolare le responsabilità degli stati. Il modo preferito dall’Occidente è guardare alle emissioni attuali, mentre il Sud globale (e la Cina) vogliono invece considerare anche le emissioni storiche, dal 1850 in poi: così il loro peso nell’aggravare la crisi climatica ne esce ridimensionato.