L’analisi di BNEF esamina sussidi ai combustibili fossili, prezzo del carbonio e misure sul rischio climatico nei 20 paesi da cui dipende il 75% delle emissioni globali. L’Italia nel 2022 ha alzato i sussidi fossili pro capite a 868 dollari
Le 20 maggiori economie mondiali vanno avanti in ordine sparso su sussidi fossili, prezzo del carbonio e politiche sul rischio climatico. E senza coordinamento e sintonia, è sempre più difficile rispettare gli obiettivi di Parigi. Le politiche sul clima del G20 – da cui dipende il 75% delle emissioni globali di gas serra – restano ben al di sotto del livello di ambizione necessario per affrontare in modo adeguato il riscaldamento globale. Ma se alcuni governi “hanno compiuto progressi nell’attuazione di politiche efficaci per contrastare il cambiamento climatico, altri no”.
L’Italia è nel gruppo dei migliori. Anche se, rispetto a 1 anno fa, non registra progressi significativi. Anzi, il suo punteggio complessivo è in leggera flessione, e resta dietro a quello di altri paesi comparabili come Francia e Germania. I meriti, però, sono più di Bruxelles che di Roma. Dove l’Italia fa politiche in piena autonomia, cioè sui sussidi fossili, registra i dati peggiori di tutto il G20.
È il quadro che emerge dal consueto rapporto annuale di BNEF, “Climate Policy Factbook: COP29 Edition”, dedicato all’analisi delle politiche sul clima del G20 alla vigilia della conferenza sul clima di fine anno. Il rapporto di BNEF analizza le misure dei paesi del G20 in 3 ambiti:
- sussidi fossili,
- prezzo del carbonio,
- politiche sul rischio climatico.
L’ambizione delle politiche climatiche del G20 è cruciale per il rispetto o meno degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che tornano al centro della scena in questi giorni con l’inizio della Cop29 Clima di Baku, in Azerbaijan, in programma dall’11 al 22 novembre.
Sussidi fossili a livelli record
I sussidi ai combustibili fossili restano il singolo ostacolo più grande allo sviluppo di politiche sul clima realmente ambiziose ed efficaci. Nel 2022, il G20 ha destinato 1.100 miliardi di dollari a sussidi per i combustibili fossili: è il livello più alto nell’ultimo decennio. Nel 2023 il totale è calato del 19% (945 mld $), ma resta ancora sopra ai livelli pre-crisi energetica.
Cosa guida l’aumento dei sussidi fossili? Principalmente la crisi energetica, sottolinea BENF. Una parte significativa dei sussidi, però, ha avvantaggiato produttori e utilities che hanno registrato profitti elevati. Parliamo di 500 miliardi di dollari, quasi metà del totale, ricorda il rapporto.
Il ruolo del carbone continua a essere divisivo, nonostante l’impegno del G20 a ridurne l’uso e a eliminare i sussidi fossili “inefficienti”. Mentre i paesi OCSE hanno ridotto l’uso del carbone, le economie emergenti continuano a espandere la capacità di generazione a carbone (+6% dal 2019). L’Indonesia in 5 anni ha aumentato la sua capacità di generazione da carbone del 43% (la Cina del 12%). A livello G20, la pipeline totale di centrali a carbone arriva a 563 GW, il 23% più della capacità attuale.
Non stupirà che 5 membri del G20 non abbiano politiche esplicite per porre fine ai finanziamenti pubblici al carbone: si tratta di India, Indonesia, Russia, Arabia Saudita e Sud Africa.
L’esistenza stessa di questi sussidi rallenta la transizione energetica perché distoglie risorse che potrebbero e dovrebbero essere impiegate per rafforzare le tecnologie pulite. Secondo BNEF, per metterci su una traiettoria compatibile con net zero, gli investimenti e i sussidi nelle fossili a livello globale dovrebbero calare di 52mila mld $ tra 2024 e 2050, mentre quelli in soluzioni pulite dovrebbero crescere di 86mila mld $.
“La riforma dei sussidi è politicamente delicata, soprattutto se implica un aumento dei prezzi al consumo. Come primo passo, i decisori politici potrebbero seguire l’esempio del Canada definendo cosa sono i sussidi inefficienti ai combustibili fossili e richiedendo nuovi programmi governativi per evitarli”, suggerisce il rapporto.
Prezzi del carbonio: solo l’UE è compatibile con l’Accordo di Parigi
Va persino peggio sul versante del prezzo del carbonio. Secondo BNEF, anche se molti stati G20 hanno adottato misure in merito, solo l’UE ha prezzi vicini ai livelli necessari per limitare il riscaldamento globale a 2°C. Tra luglio e settembre 2024, il prezzo dei crediti dell’ETS UE è stato in media 75 $/tCO2, superiore al limite più basso suggerito dalla Banca Mondiale per la compatibilità con 2 gradi (63-127 $/tCO2). Ma questo prezzo del carbonio resta lontanissimo da quanto servirebbe per 1,5 gradi, cioè 226-385 $/tCO2.
Rischi climatici, a che punto sono le politiche clima del G20?
Anche le politiche sui rischi climatici spaccano il G20 a metà. Vi è un divario tra i paesi del G20 più avanzati nelle politiche sui rischi climatici (UE, Brasile, Regno Unito) e quelli in ritardo (Argentina, Arabia Saudita, Russia).
I primi 3 sono “pionieri” nelle regolamentazioni che richiedono alle aziende di valutare e mitigare i rischi climatici. In più, l’adozione degli standard di reporting dell’International Sustainability Standards Board (ISSB) da parte di 9 paesi del G20 rappresenta un progresso verso una maggiore trasparenza.
L’Italia fa il compitino (e stecca sui sussidi)
E l’Italia? Come sono valutate da BNEF le sue politiche climatiche? Come si comporta rispetto ad altri paesi europei, anche loro soggetti al medesimo quadro normativo comunitario?
Secondo il rapporto, l’Italia “continua a essere indietro” rispetto a Francia e Germania in materia di politica a basse emissioni di carbonio. Roma ha spesso implementato lo stesso numero e tipo di politiche di Parigi e Berlino, ma BNEF ritiene che in alcuni casi si siano rivelate meno solide ed efficaci. “Ciò può essere dovuto al fatto che gli incentivi e le normative hanno un impatto minore, o perché un’implementazione più lenta significa che impiegano più tempo per avere effetto”, aggiungono gli autori.
Nel 2022, l’Italia ha aumentato a dismisura i sussidi alle fossili: +158% sull’anno prima, arrivando a quota 51 miliardi di dollari. Ben di più di quanto abbia fatto la Francia (41 mld $) e più del doppio della Germania (23 mld $), paese che pure, come l’Italia, è molto dipendente dal gas e importava una quota importante di gas dalla Russia.
È un record nel panorama del G20. L’Italia ha raggiunto il 2° più grande aumento nel sostegno ai combustibili fossili nel periodo 2018-2022 con +267%, seconda solo al Giappone con il 273%. Ma ha avuto il totale pro capite più alto nel 2022, a 868 dollari, principalmente dovuti ad agevolazioni fiscali per i consumatori di petrolio e gas e di elettricità.
Diversa la situazione per quanto riguarda prezzi del carbonio e rischi climatici, dove il Belpaese se la cava decisamente meglio. Ma in entrambi questi ambiti l’Italia è soggetta alle norme UE e non dispone di un mercato del carbonio nazionale.
Scarica qui il rapporto di BNEF