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Che cosa prevede il PNACC dell’Italia, il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico

La nuova versione del Piano, in preparazione dal lontano 2016, è in fase di consultazione pubblica da febbraio 2023. Ma non si sa ancora quando sarà adottato in via definitiva. Molti i punti deboli del PNACC, dalla scarsa integrazione con le altre politiche all'assenza di veri indirizzi, alle risorse mancanti per implementarlo

PNACC Italia: cosa prevede il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico
Un’immagine in falsi colori delle inondazioni attorno a Ravenna ripresa dal satellite Sentinel. Crediti: Sentinel-ub via Flickr CC BY 2.0

Da febbraio il PNACC Italia è in fase di valutazione pubblica

(Rinnovabili.it) – L’alluvione in Emilia-Romagna di maggio. Le tempeste di grandine che hanno colpito soprattutto Lombardia e Veneto a luglio. La siccità più dura degli ultimi 70 anni, che ha strozzato il paese nel 2022 e per gran parte del 2023. Le ondate di calore eccezionale che quest’estate hanno creato disagi (a Catania il caldo ha messo ko centraline e surriscaldato anche i cavi sotterranei, causando blackout prolungati) e sono concausa di migliaia di morti premature (18mila nel 2022 solo nel nostro paese). Tutti episodi recenti a cui dovrebbe dare una risposta il nuovo Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. Cosa prevede esattamente il PNACC Italia?

Che cos’è il PNACC Italia

La prima versione del Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico risale a giugno 2018 ed era stata predisposta dal governo Gentiloni. Il documento di quasi 400 pagine, preparato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), doveva servire da guida e ossatura di tutte le future politiche di adattamento alla crisi climatica a scala nazionale, regionale e locale. Ondate di caldo, inondazioni, rischio idrogeologico, eventi estremi aggravati dal cambiamento climatico, innalzamento del livello del mare, sono alcuni dei fattori più importanti ai quali il piano prova a dare una risposta strutturata. Come? Agendo sul lato della prevenzione. Cioè modificando – adattando – le infrastrutture e i servizi del Belpaese in modo che siano in grado di continuare a svolgere il loro ruolo anche in un clima che è già mutato e che continuerà a riscaldarsi nel prossimo futuro.

Le novità del nuovo PNACC Italia

Nel frattempo però ci sono state le elezioni e il nuovo governo giallo-verde lascia il documento nel cassetto. L’attenzione sul PNACC Italia si riaccende tra 2021 e 2022 ma bisogna rimettere mano al piano. La prima versione si basava su quello che, all’epoca, era il rapporto IPCC più aggiornato, cioè l’Assessment Report del 2014. Ma tra agosto 2021 e aprile 2022 esce la nuova infornata di rapporti IPCC che aggiornano il precedente. Il CMCC rimodula il piano per renderlo aderente alla nuova base scientifica e il governo Meloni pubblica la prima bozza tra dicembre 2022 e febbraio 2023.

Cambia anche il modo in cui il CMCC adatta le previsioni globali al caso italiano. Nel 2018 identificava 6 macroregioni climatiche basandosi su un solo modello climatico. La nuova versione si basa su 5 regioni amministrative (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole), usa tutti i modelli climatici regionali disponibili in letteratura, li applica a 3 diversi scenari climatici.

Le critiche al Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico

Fin dalla sua prima pubblicazione, il PNACC Italia ha ricevuto molte critiche. La principale riguarda il fatto che non è, propriamente, un piano. Il documento descrive la situazione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo, un hotspot della crisi climatica. Ma non va oltre la mera descrizione. C’è poi un allegato, il database delle azioni, che contiene 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere. Un lungo elenco, ma nulla più.

In pratica è come essere sul set di un film, avere il cast al completo, dai protagonisti all’ultima delle comparse, ma non avere né il regista né, cosa più grave, la sceneggiatura e il copione.

Gli unici agganci sono i 27 indicatori ambientali individuati dal piano, che dovrebbero permettere di quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio. Sono tratti dalla letteratura scientifica di riferimento e includono, tra gli altri, la temperatura media, i gradi giorno (un indice del fabbisogno di energia per riscaldamento e raffrescamento), l’evapotraspirazione potenziale, la durata del manto nevoso, vari indicatori del disagio termico. E 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.

Priorità mancanti

Una critica che Legambiente ha focalizzato sulla “fumosità” di molte delle azioni proposte nel database. “Sono moltissime, infatti, le azioni di governance (cosiddette soft) che rappresentano il 76% del totale delle misure indicate, che non sembrano indirizzare prioritariamente il resto delle azioni”, scrive l’associazione ambientalista nelle osservazioni inviate al MASE durante il processo di consultazione pubblica. In termini meno politicamente corretti: se la politica non dà gli indirizzi, gli enti territoriali andranno, alla meglio, in ordine sparso, e alla peggio non prenderanno iniziative sui temi realmente più urgenti.

Integrazione

Se da un lato molte delle misure di adattamento proposte sono multisettoriali – cioè dovrebbero dare benefici in ambiti diversi – per il WWF manca una vera integrazione sia tra le diverse misure del PNACC, sia con le altre politiche di mitigazione, sia con le policy a livello europeo. Così come manca, punta ancora il dito il WWF, uno “scenario programmatico”, cioè uno strumento “basato sulla ricognizione delle azioni in corso o già programmate, incardinate sui relativi capitoli di bilancio e sulle misure di strumenti fondamentali, dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) alla Strategia nazionale di Sviluppo Sostenibile, dal Piano Nazionale Energia e Clima al Piano per la Transizione Ecologica, nonché ai numerosi piani nazionali di settore”.

Risorse

Se non si ha un’idea chiara delle azioni da compiere e di quali sono quelle prioritarie, non si può neppure avere una stima attendibile delle risorse necessarie. E senza integrazione con altre politiche si moltiplica il rischio di sprecare risorse e di ottenere risultati meno efficienti. La mancanza di una programmazione finanziaria chiara è un altro punto dolente sollevato da molti osservatori. Il PNACC indica quali linee di finanziamento potrebbero garantire risorse ma molte sono “su base competitiva”: si tratta di presentare progetti europei e sperare di vincerli. “Per garantire la certezza delle risorse finanziarie necessarie a tradurre in realtà il piano, va prevista per ciascun fondo una quota percentuale adeguata per le misure di adattamento da finanziare attraverso di esso”, indica quindi Legambiente.