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Il piano UE per l’energia Repower EU? “Guarda troppo al gas”

Piano UE per l’energia: le reazioni al Repower EU
crediti: Chris Hsia via Flickr CC BY-SA 2.0

Il 18 maggio la Commissione ha presentato il piano UE per l’energia

(Rinnovabili.it) – Miliardi di investimenti inutili e dannosi in nuove infrastrutture per il gas. Che incatenano l’Europa alle fonti fossili. E contraddicono tutto il resto del programma. È questa la critica principale che molte ong e think tank rivolgono al piano UE per l’energia, il Repower EU presentato ieri da Ursula von der Leyen, Frans Timmermans e Kadri Simson.

Il piano UE per l’energia punta troppo sul gas

Uno dei tre pilastri del piano UE per l’energia è la diversificazione delle fonti energetiche. Ma la strategia della Commissione “sostituirebbe semplicemente i combustibili fossili russi con altri combustibili fossili” vincolando l’Europa a nuove dipendenze e altre emissioni di CO2. È la posizione di EEB, che ritiene poco felice l’accento sul passaggio al Gnl: “può avere un’intensità di carbonio molto maggiore rispetto al gas russo se si considerano le emissioni complessive del trasporto e della rigassificazione”.

“Dovremmo impegnarci al massimo per promuovere l’energia pulita e l’isolamento per eliminare definitivamente il gas in Europa”, sostiene l’ong Global Witness. “Più spendiamo per importare gas, più continuiamo a esporre i più vulnerabili della nostra società a bollette energetiche inaccessibili, ad alimentare la crisi climatica e a finanziare altri regimi repressivi alimentati da combustibili fossili in tutto il mondo”.

Gli altri due pilastri del piano UE per l’energia, potenziamento delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, sono solidi ma potrebbero contribuire molto di più alla sicurezza energetica europea secondo molti osservatori. “In Repower Eu c’è la spinta a più energie rinnovabili e efficienza energetica. Ma tutto questo è contraddetto dalle risorse date al gas (10 miliardi…) che si aggiungono a quelli previsti dai cosiddetti PCI (progetti di interesse comune)”, commenta Monica Frassoni, presidente dell’European Alliance to Save Energy (Euase). Per l’organizzazione, l’UE è stata timida, visto che il potenziale esistente permetterebbe di portare al 19% il target per l’efficienza.

Nuove catene

Certo, abbandonare il gas russo sostituendolo, nel frattempo e nel breve periodo, con importazioni da altri paesi è necessario. Ma lo si dovrebbe fare sfruttando le infrastrutture esistenti e riorganizzando i flussi commerciali e basta. Non finanziando nuove infrastrutture per il gas. Rigassificatori e gasdotti, nuova produzione e nuovi contratti di lungo periodo sono la via sbagliata per il think tank italiano ECCØ. Perché? Sono del tutto incompatibili con l’obiettivo degli 1,5 gradi.

“Nuove infrastrutture gas, legate a profitti regolati e garanzie pubbliche, con lunghi periodi di ammortamento contrastano con il rapido calo della domanda gas, stimata in meno 40% al 2030 rispetto al 2021”, spiega Luca Bergamaschi di ECCØ. “Così, insieme a contratti di lungo periodo fortemente esposti al rischio di prezzi elevati, rimarranno a carico di cittadini e imprese ben oltre i tempi della crisi, imprigionando l’Italia in una costosa dipendenza da fonti fossili e non facendo nulla per abbassare l’altissimo costo del gas in modo strutturale”.

Scappatoie fossili

Sulla stessa linea si schiera anche CAN Europe, che mette però l’accento su un’altra stortura del piano UE per l’energia: come è finanziato. La Commissione vuole usare quote d’asta dalla Market stability reserve dell’ETS e utilizzarle quindi anche per finanziare infrastrutture per il gas e il petrolio. “Tassare il carbonio attraverso il sistema di scambio di quote di emissione per ridurre le emissioni e poi riciclare le entrate in gas che emettono carbonio e metano… sembra un brutto scherzo. Ciò aggraverà, anziché ridurre, la dipendenza dell’UE dalle importazioni di combustibili fossili, contraddicendo gli obiettivi del Green Deal europeo”, denuncia l’esperto di politica climatica di CAN Europe Klaus Röhrig.

In più, il piano UE per l’energia propone di cambiare il regolamento del Recovery per poter impiegare  quei fondi (e i prestiti) che non venissero usati. Un paese potrebbe così accedere a fondi extra pescando da quelli stanziati per un altro paese. In questo modo però, avverte CAN Europe, si apre la porta ai combustibili fossili e ai progetti dannosi per il clima, rinunciando alla verifica dell’assenza di danni significativi che era in vigore per tutte le altre misure (già approvate). La misura è corretta “in via di principio”, ma “c’è il rischio che una parte di questi fondi venga destinata ai combustibili fossili, il che è del tutto controproducente. Inoltre, la strategia non prevede una scadenza concreta per la graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili, al fine di riutilizzare queste preziose risorse per finanziare un’accelerazione della transizione energetica”, spiega Olivier Vardakoulias, esperto di politiche finanziarie e sussidi di CAN Europe.

Il Repower EU visto dall’Italia

Il piano UE per l’energia alza gli obiettivi per le rinnovabili dal 40 al 45% entro il 2030. Quindi tutti i 27 paesi membri dovranno rifare i conti e adeguarsi. Compresa ovviamente l’Italia. Che non ha ancora aggiornato il Pniec per allinearlo agli obiettivi del pacchetto Fit for 55. Cosa dovrà fare il governo?

“Nell’ambito delle rinnovabili, l’Italia dovrà passare dall’attuale 1,5 GW di nuove installazioni di capacità elettrica rinnovabile annua a non meno di 10 GW per essere in linea con l’ambizione di REPowerEU. Questo può portare alla sostituzione di almeno 7,5 miliardi di metri cubi di gas entro il 2025, circa un quarto delle importazioni italiane di gas dalla Russia”, sostiene Davide Panzeri di ECCØ. Non solo. Serviranno modifiche nel disegno del mercato elettrico, oggi orientato al gas. Aumentare il tasso di deep renovations, così da raddoppiare le pompe di calore installate entro il 2025 arrivando a 1,2 milioni di nuove unità. E ripensare gli incentivi.

“Nel settore edilizio, dare seguito a REPowerEU”, sottolinea Francesca Andreolli di ECCØ, “significa rivedere l’intero impianto di incentivi al fine di escludere il gas dagli interventi di ristrutturazione. Questo include rinnovare il Superbonus 110, ridisegnandolo, per renderlo uno strumento mirato e di lungo periodo in grado di affrontare l’efficientamento del complesso panorama edilizio italiano, eliminandone la dipendenza dal gas”.

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