Sei direttrici di intervento, due fasi di sviluppo incrementali, alcuni progetti pilota già avviati in 9 paesi africani, 5,5 miliardi di risorse a disposizione (di cui 3 dal Fondo Italiano per il Clima). La nuova strategia italiana per l’Africa elaborata dal governo Meloni approda in parlamento
Al centro del Piano Mattei ci sono agricoltura (incluse le TEA), gas fossile e biocarburanti
Annunciato a più riprese, atteso da mesi, è finalmente approdato in Parlamento il testo ufficiale del Piano Mattei. Un documento di 102 pagine dove il governo Meloni dettaglia la strategia italiana per l’Africa, già delineata a gennaio durante il vertice Italia-Africa, e sulle cui basi Roma vorrebbe rilanciare la cooperazione con il continente seguendo un modello non “predatorio” bensì “da pari a pari”. Cooperazione con l’Africa a 360 gradi, dove svolgono un ruolo di primissimo piano due dossier: energia e agricoltura.
Che cos’è il Piano Mattei per l’Africa?
Il Piano Mattei è sia una strategia di cooperazione sia un modello di partenariato con il continente africano. La strategia si sviluppa su sei direttrici d’intervento:
- Istruzione/formazione
- Sanità
- Acqua
- Agricoltura
- Energia
- Infrastrutture (fisiche e digitali)
Nei capitoli dedicati a ciascuna direttrice sono presentate le potenzialità dell’Africa, i vantaggi che potrebbero derivare da una maggior cooperazione con l’Italia, e gli ambiti prioritari su cui il governo intende finanziare i primi interventi. Largo spazio viene lasciato a considerazioni sulla sostenibilità, sulla rilevanza degli interventi per la transizione ecologica ed energetica (dei paesi africani e italiana) e dell’adattamento alla crisi climatica.
Il modello di partenariato, invece, vuole richiamare la dimensione più paritaria impressa ai rapporti bilaterali dal fondatore di Eni, Enrico Mattei, che riuscì a stringere accordi con diversi paesi africani a scapito delle major e delle grandi potenze dell’epoca proprio garantendo più margini di profitto alle nazioni africane e condizioni meno sbilanciate a favore del paese investitore.
In una prima fase, il Piano procederà con progetti pilota che coinvolgeranno 9 paesi: 4 quattro del quadrante nord africano (Egitto, Tunisia, Marocco e Algeria) e 5 del quadrante subsahariano (Kenya, Etiopia, Mozambico, Repubblica del Congo e Costa d’Avorio). In una seconda fase, si amplierà in modo incrementale ad altri paesi.
Il governo dovrà trasmettere al parlamento una relazione attuale sullo stato di attuazione degli interventi del Piano Mattei entro il 30 giugno di ogni anno.
I progetti pilota già avviati
In questa prima fase sono pochi i progetti pilota menzionati dal Piano, che ad essi dedica una specifica sezione. Si tratta, perlopiù, di “supporto” a iniziative già esistenti che, per le loro caratteristiche, sono in sintonia con gli obiettivi del Piano.
In Algeria, il documento ricorda il sostegno a un progetto di “agricoltura desertica” avviato dall’azienda italiana Bonifiche Ferraresi col supporto di SIMEST nel sud-est del Sahara algerino e punta a sviluppare la coltivazione di grano, cereali e semi per oli. La stessa azienda è protagonista del progetto pilota citato per l’Egitto, che si concentra sul trasferimento di tecnologie agricole per la produzione di grano, soia, mais, girasole. Ancora all’agricoltura è dedicato il progetto pilota citato per il Mozambico, che prevede la creazione di un Centro agroalimentare sul modello italiano nel nord-ovest del paese per “rafforzare la competitività e la resilienza in ambito agroalimentare”.
Per la Tunisia, viene messo il “cappello” del Piano Mattei all’interconnessione elettrica sottomarina con l’Italia ELMED e si cita anche “la realizzazione di una infrastruttura di trasporto di idrogeno che colleghi la Tunisia e, in prospettiva, l’Algeria con il continente europeo (SoutH2Corridor)”. Si tratta di un progetto già discusso negli anni scorsi che dovrebbe sostanziarsi nel raddoppio dei gasdotti esistenti tra Algeria, Tunisia e Italia. Benché H2-ready, trasporteranno verosimilmente per lungo tempo quasi esclusivamente gas fossile vista l’assenza di una produzione di idrogeno rinnovabile in quei paesi.
In Repubblica Democratica del Congo, il Piano Mattei ingloba un’iniziativa di ENI per migliorare l’accesso all’acqua, mentre in Kenya abbraccia in toto i progetti dell’azienda di San Donato Milanese sui biocarburanti.
I finanziamenti per la strategia italiana per l’Africa
Il Piano Mattei non è una lista di interventi, progetti e iniziative. Il testo ufficiale, anzi, è particolarmente scarno da questo punto di vista. Si limita a fornire la cornice entro la quale si devono muovere quei progetti che il governo deciderà di finanziare con le risorse stanziate per il Piano – al momento 5,5 miliardi di euro. La scelta viene ricondotta proprio all’approccio paritario di cui sopra: i progetti sarebbero da decidere e delineare fin dal principio con i paesi interessati, senza imporli dall’alto.
Per mettere in campo queste iniziative, il governo ha individuato le seguenti risorse finanziarie:
- Fondo Italiano per il Clima: è il canale di finanziamento principale del Piano Mattei. Il 70% delle sue risorse è destinato all’Africa e, di fatto, nella disponibilità del Piano. Tra i tipi di interventi finanziabili, il documento cita a mo’ di esempio “iniziative nei settori dell’idrogeno verde, dell’energia rinnovabile e dell’adattamento agricolo al cambiamento climatico, per il ripristino della biodiversità e per l’uso sostenibile delle risorse naturali”. Dal Fondo provengono in tutto 3 miliardi di euro.
- Fondi della Cooperazione allo Sviluppo: da questi canali arrivano i restanti 2,5 miliardi di euro.
Il documento cita poi potenziali risorse aggiuntive provenienti da:
- Aiuto Pubblico allo Sviluppo destinate all’Africa, anche nella forma di linee di crediti concessionali sovrani finanziate tramite il Fondo Rotativo per la Cooperazione allo Sviluppo presso il MEF e gestito da Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
- Istituzioni Finanziarie Internazionali e Banche Multilaterali di Sviluppo.
- Global Gateway Africa-Europe dell’UE e delle altre iniziative europee (Connecting Europe Facility, Horizon Europe).
- Co-finanziamenti da altri paesi. Il documento sottolinea che alcuni paesi del Golfo avrebbero già manifestato interesse in tal senso.
- Operazioni di conversione del debito (“debt for development swap”).
Vediamo nel dettaglio le priorità inserite nelle direttrici più rilevanti sotto il profilo della transizione, ovvero agricoltura, energia e acqua.
Direttrice Agricoltura
L’agricoltura è l’unico ambito nel quale, finora, sono state presentate iniziative concrete riconducibili alla cornice del Piano Mattei. Il documento cita esplicitamente la valorizzazione della filiera del caffè, un punto che il governo Meloni ha inserito, ad esempio, anche nel comunicato finale del vertice G7 Clima di Venaria.
Lo schema di fondo di quello che il governo chiama “metodo Mattei” viene riprodotto anche nella direttrice agricoltura. La cooperazione “da pari a pari” si dovrebbe fondare su due pilastri: sviluppo rurale e sicurezza alimentare. Il doppio vantaggio consisterebbe nel “rafforzare la crescita e la sostenibilità di intere filiere agroalimentari” e nello “sviluppo di modelli imprenditoriali locali in partenariato con aziende italiane dotate di conoscenze e tecnologie all’avanguardia e con processi produttivi efficienti”.
In concreto, si tratta a prima vista di una semplice intensificazione di partenariati e scambio di tecnologie in ambito agrifood, con l’ambizione di elevare le pratiche agricole africane da mera sussistenza all’accesso al mercato.
Mentre si garantisce un reddito alla popolazione e si riducono malnutrizione e tensioni legate ai conflitti per determinate risorse, si integrano le nuove filiere con quelle italiane, che possono così attingere a un bacino di manodopera sempre più qualificata (uno degli obiettivi citati esplicitamente sotto la direttrice Istruzione) e, di fatto, a nuovi mercati dove far valere il loro know how e le loro tecnologie.
Il Piano Mattei cita poi la formazione, informata da elementi di sostenibilità ambientale ed energetica, il ruolo dell’acquacoltura e della pesca, la gestione integrata delle risorse marine e costiere.
L’Italia esporterà i nuovi OGM in Africa?
Tra le pieghe del Piano Mattei si intravedono però anche altre mire. Meno ispirate alla cooperazione, forse, e più funzionali ai desiderata delle grandi organizzazioni di categoria italiane. Su tutte, il capitolo delle Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), ovvero i nuovi OGM. Il Piano afferma l’intenzione di “avviare progetti in collaborazione con i principali operatori italiani, i centri di ricerca e le Università per fornire servizi innovativi quali l’agricoltura di precisione e l’applicazione delle nuove Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA)”.
Le ragioni addotte sono quelle ribadite anche per lo sviluppo dei nuovi OGM in Italia. Aumento della resilienza di determinate colture, riduzione dello spreco di risorse, soluzione per l’adattamento alla crisi climatica. Viste le difficoltà nello sdoganare le TEA in Italia e in Europa, però, una lettura diversa del Piano Mattei potrebbe vedere in questa iniziativa un modo per usare i paesi africani come terre dove condurre esperimenti e far ingranare la produzione di colture modificate geneticamente con la tecnica CRISPR-Cas9.
Direttrice Energia
Nel capitolo sull’energia esplodono tutte le contraddizioni della “cooperazione da pari a pari” del Piano Mattei. Il preambolo si sofferma sull’abbondanza di risorse naturali, sostenibili e rinnovabili, a partire dal potenziale di solare, eolico ed idroelettrico, e sulle prospettive di forte crescita della domanda di elettricità nel continente nei prossimi decenni. Ma il cuore della proposta del Piano, sull’energia, non riguarda le rinnovabili bensì il gas fossile. L’energia pulita è lasciata a fine capitolo, e il suo sviluppo è vincolato a necessarie “riforme di mercato” che facilitino gli investimenti.
Il gas fossile al centro del Piano Mattei
Ripetendo il mantra dell’approccio “pragmatico e tecnologicamente neutrale” – lo stesso con cui è stato inserito lo scenario nucleare nel PNIEC 2030 – il documento sostiene che “il gas naturale potrà ricoprire un ruolo chiave per agire come ponte nel percorso di transizione energetica del Continente”.
Le ragioni? Il gas è la fonte fossile con minor impatto climalterante, recita il documento, è un buon candidato per sostituire il carbone, sarebbe complementare alla crescita delle rinnovabili e ovvierebbe ai problemi di intermittenza e non programmabilità, ai vincoli di rete e alla necessità di sviluppo infrastrutturale.
Considerazioni deboli, a ben vedere. L’Africa per la maggior parte non fa affidamento sul carbone. Il Sudafrica, da solo, rappresenta l’83% della generazione elettrica da carbone del continente. L’immagine di un continente ancorato al carbone, e del gas come soluzione per la decarbonizzazione, è semplicemente fuorviante.
È vero, invece, che molti paesi che intendono sfruttare le loro risorse di gas fossile – per cui necessitano di capitali, spesso occidentali – sono anche quelli con elevati potenziali per le rinnovabili: ma la coperta degli investimenti è corta, ed è difficile pensare che lo sviluppo del gas non vada a sottrarre risorse a solare ed eolico.
L’idea di usare il gas come energia di transizione in Africa, poi, ha un’altra falla: lo sviluppo delle rinnovabili è certamente frenato dalle carenze dell’infrastruttura di rete, ma allo stesso modo – se non di più – è carente o assente l’infrastruttura gasiera. E se l’obiettivo, come dichiara il Piano Mattei, è anche quello di aumentare l’accesso all’elettricità – 600 milioni di africani oggi non ce l’hanno – allora il punto è proprio sviluppare la rete elettrica o puntare su mini-grid. Moltiplicare le centrali a gas presso i poli industriali o più popolosi non andrà a beneficio di quei 600 milioni di africani, che per la maggior parte vive in zone rurali.
Da ultimo, il documento specifica che lo strumento “fondamentale” per gli investimenti nel settore dell’energia e dello sviluppo sostenibile sarà il Fondo Italiano per il Clima. Da qui, ricordiamo, derivano 3 dei 5,5 miliardi di euro totali in dotazione al Piano.
Biocarburanti
L’altro mantra del governo Meloni, bocciato o relegato in una nicchia in tutte le sedi internazionali, rientra frettolosamente nel Piano Mattei. Si tratta dei biocarburanti, che per il documento “avranno un ruolo essenziale in particolare nella decarbonizzazione del trasporto pesante su strada, navale e aereo”.
Si ricorda che i biocarburanti, le biomasse e i rifiuti rappresentano circa il 45% dell’offerta totale di energia in Africa e su questi dati si costruisce il progetto di sviluppo della filiera dei biocarburanti. Come? Qui risuonano i tratti caratteristici dei progetti sui biocarburanti portati avanti da ENI in molti paesi africani: si parla di modelli “innovativi e sostenibili” che prevedano colture “non in competizione con la filiera alimentare” e siano utili a rigenerare terreni “degradati e marginali”. Tra i primi finanziamenti concessi nell’ambito del Piano, nei mesi passati, figurano alcune iniziative dell’azienda fossile legate proprio alla filiera dei biocarburanti.
Direttrice Acqua
Per le risorse idriche, il Piano Mattei prevede tipologie di interventi che mirano a ripristinare o creare infrastrutture idrauliche complesse, gestire la disponibilità di acqua, costruire impianti di depurazione o affinamento dell’acqua, monitorare la qualità della risorsa idrica, rafforzare la formazione del personale addetto alle infrastrutture idriche.
Dal documento non sembrano emergere particolari priorità, ma sono presenti considerazioni sulle necessità in chiave di adattamento alla crisi climatica. Dalle coperture delle vasche di accumulo e dei canali principali per limitare l’evaporazione alla creazione di gemelli digitali della rete di distribuzione, al riuso in agricoltura dei fanghi originati dal trattamento delle acque reflue.
Leggi qui il testo del Piano Mattei per l’Africa