Il dossier è uno dei più caldi tra quelli che saranno discussi alla Cop28 di Dubai
(Rinnovabili.it) – Eliminare completamente i combustibili fossili “non è realistico”. Con queste parole di Xie Zhenhua, inviato speciale per il clima della Cina, Pechino sbatte la porta in faccia a chi sperava di portare il dossier del phase out delle fossili al centro della Cop28 di Dubai. Un no pesantissimo, quello della seconda economia mondiale (e maggior inquinatore), che rinforza il fronte già affollato dei paesi risolutamente contrari anche solo a intavolare una discussione sul tema.
Per motivare il no, Zhenhua ha toccato due punti: l’intermittenza delle rinnovabili e l’immaturità di tecnologie necessarie per aumentare la quota di energia pulita nel mix. Per questo, sostiene l’inviato durante un incontro a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU in corso a New York questa settimana, “i combustibili fossili dovrebbero fungere da fonte di energia flessibile e di riserva quando tecnologie come lo stoccaggio di energia su larga scala, la trasmissione di energia elettrica, le reti intelligenti e le microreti non sono ancora completamente mature”.
Si rafforza il fronte del no al phase out delle fossili
Parole che ricalcano i punti sollevati in questi mesi anche dalla presidenza emiratina della Cop28. Il cui vertice, Sultan al-Jaber, è anche a capo dell’ADNOC, la compagnia nazionale degli idrocarburi del paese del Golfo. Alle insistenze di chi, come l’Unione Europea, ha provato a spingere per far entrare finalmente, dopo 25 anni di Cop, la parola “combustibili fossili” dentro un comunicato finale, al-Jaber ha risposto che più di phase out delle fossili bisognerebbe parlare di eliminazione graduale delle emissioni fossili. In altre parole, lasciare inalterato il sistema attuale affidandosi esclusivamente a soluzioni tecnologiche come la cattura e lo stoccaggio di CO2.
Con il no della Cina diventano ancora più flebili le altre voci autorevoli che si stanno levando a supporto del phase out delle fossili. A partire da quella di Antonio Guterres, il numero uno delle Nazioni Unite, che questa settimana ha ribadito che i paesi del G20, da cui dipendono l’80% delle emissioni globali, “devono rompere la loro dipendenza dai combustibili fossili, fermare la nuova estrazione di carbone e tenere conto delle conclusioni dell’Agenzia internazionale per l’energia secondo cui le nuove licenze per petrolio e gas da parte loro sono incompatibili con il mantenimento in vita del limite di 1,5 gradi”.
O quella di Cristiana Figueres, una degli architetti dell’Accordo di Parigi, che afferma di aver “perso la pazienza con le compagnie fossili” perché rallentano la transizione: “Invece di fare tutto ciò che fanno e di applicare la loro straordinaria capacità ingegneristica, in realtà hanno fatto il contrario”.