Mancano i grandi inquinatori: Cina, India e pure gli Stati Uniti latitano. Il patto per dire stop al carbone non ha una data unica, la fonte fossile più inquinante in molti casi resta fino al 2050
Solo 40 paesi promettono l’abbandono graduale del carbone
(Rinnovabili.it) – Doveva essere l’obiettivo principale della COP26: un accordo globale sul phase out del carbone, con una data unica per “consegnare questa fonte fossile alla storia”. Invece l’annuncio che arriverà oggi da Glasgow è un patto ben più limitato, in tono minore, segno che il vertice sul clima su alcune delle battaglie più importanti fallirà clamorosamente. Anche a causa della mancata intesa al G20 di Roma del 30-31 ottobre.
Il primo punto debole è la data: non ce n’è una uguale per tutti. Ciascun paese sceglie la propria e programma in solitaria il phase out del carbone. Così gli impegni sono sfasati anche di decenni. Di massima, le economie avanzate hanno fissato lo stop al carbone negli anni ’30 mentre quelle in via di sviluppo il decennio successivo. L’accordo impegna i paesi a cancellare non solo gli investimenti all’estero, ma anche a bloccare il carbone domestico.
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Anche il numero (basso) dei firmatari la dice lunga sul disaccordo che regna a Glasgow sulla fonte fossile più inquinante: appena 40 paesi. Alcune adesioni importanti ci sono, è vero. Paesi fortemente legati al carbon fossile come la Polonia o il Vietnam, ad esempio. Ma mancano i big: Cina, India, Australia non si sono fatti vedere. Latitano anche gli Stati Uniti, segno che l’America is back di Biden è un concetto molto relativo.
“Oggi segniamo una pietra miliare negli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico”, ha annunciato con tono fin troppo trionfale Kwasi Kwarteng, segretario agli affari del Regno Unito. “Le nazioni di tutti gli angoli del mondo si uniscono a Glasgow per dichiarare che il carbone non ha alcun ruolo nella nostra futura generazione di energia”, ha aggiunto, glissando sul fatto che le date fissate sono molto lontane e non compatibili con la traiettoria degli 1,5°C. Per il ministro UK, “gli ambiziosi impegni presi oggi dai nostri partner internazionali dimostrano che la fine del carbone è in vista”.
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La tempistica rispecchia, è vero, quella suggerita dall’Iea per raggiungere la neutralità climatica entro la fine del secolo. È l’agenzia guidata da Fatih Birol a proporre date differenziate per il phase out del carbone. Ma chiaramente senza i paesi che pesano di più, l’accordo incide molto poco. A fine ottobre, quando i paesi aderenti erano 21, il loro peso era solo di circa il 3% della generazione globale di elettricità. (lm)