L’anno scorso il tracollo, quest’anno la stagnazione. L’Italia è 43° nella classifica del Climate Change Performance Index 2025, l’indicatore della qualità della performance climatica stilato da Germanwatch, Climate Action Network e NewClimate Institute. Rispetto al 2023, quando il Belpaese aveva perso 15 posti, il miglioramento è appena di una posizione.
Il Climate Change Performance Index (CCPI) è uno strumento per consentire la trasparenza nelle politiche climatiche nazionali e internazionali. Confronta le prestazioni climatiche di 63 paesi e dell’UE, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali di gas serra. 14 gli indicatori considerati e 4 le categorie valutate: emissioni di gas serra, energia rinnovabile, uso dell’energia e politica climatica. Le emissioni pesano per il 40% sul punteggio, le altre 3 categorie tutte per il 20%.
Cosa affossa la performance climatica dell’Italia?
43° su 63 paesi, dunque. La tendenza è un declino costante. Dalla 1° edizione del CCPI, nel 2018, l’Italia ha perso ben 27 posizioni. E dall’anno scorso non ci sono miglioramenti tangibili. Per quali motivi? Due i principali:
- Sono state autorizzate nuove capacità di gas per combustibili fossili,
- il potenziale di energia rinnovabile del paese non è stato raggiunto.
Sotto la lente finisce soprattutto il Piano nazionale Integrato Energia e Clima, rivisto a luglio 2024. Il piano “non ha un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra per l’intera economia” ma solo un obiettivo del 40,6% entro il 2030 per la quota coperta dall’ESR (Effort Sharing Regulation) dell’UE. Un target chiaramente “insufficiente” a fronte della quota assegnata all’Italia dall’ESR, che è del 43,7% entro il 2030.
Non solo. Il PNIEC ha posticipato l’eliminazione graduale del carbone in Italia dal 2025 al 2029. È stata autorizzata nuove capacità di gas a combustibile fossile e il potenziale di energia rinnovabile del paese non è stato raggiunto. Non esiste un piano d’azione per porre fine ai sussidi ai combustibili fossili.
Per migliorare la sua posizione, dicono gli autori della classifica, l’Italia dovrebbe:
- fissare una data di eliminazione graduale del carbone più ambiziosa,
- fermare l’espansione dell’estrazione di fossili e delle infrastrutture fossili,
- puntare a una riduzione delle emissioni in tutta l’economia almeno del 65% entro il 2030 per essere in linea con l’obiettivo di Parigi di 1,5°C.
Per Legambiente, che ha prestato uno dei due esperti nazionali che hanno lavorato alla valutazione dell’Italia (l’altro è del Kyoto Club), “l’Italia sul fronte energetico persegue una politica miope incentrata su fonti fossili e su un possibile ritorno del nucleare. Si punti su un hub nazionale delle rinnovabili, semplificando e velocizzando gli iter autorizzativi, e si riducano le emissioni”.
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