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Perdita di foreste, fermarla fa davvero bene al clima?

La COP26 ha promesso di fermare la perdita di foreste entro il 2030. Ma s’intende deforestazione lorda o netta? E se netta, rimpiazzata da riforestazione o da altre colture? Ecco perché la differenza è importante

Disboscamento illegale: l’agricoltura commerciale guida la deforestazione nel mondo
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Arginare la perdita di foreste può evitare 143 ± 38 Gt CO2 entro metà secolo

(Rinnovabili.it) – Uno dei primi risultati ottenuti alla COP26, lo scorso novembre, è stato un accordo molto ampio per bloccare la deforestazione. Ben 141 paesi, che rappresentano l’85% delle foreste mondiali, hanno promesso di “lavorare collettivamente per arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del territorio entro il 2030”. Ma c’è un problema tutt’altro che secondario: s’intende il disboscamento lordo o netto?

La differenza conta eccome. Perché nel caso migliore, la Glasgow Leaders’ Declaration on Forests and Land Use ottiene i risultati sperati. In quello peggiore non aiuta minimamente a tagliare le emissioni. Lo spiega un intervento di tre scienziati europei pubblicato su Pnas.

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“La distinzione è importante, perché le diverse interpretazioni di come i Paesi possano “porre fine alla deforestazione” hanno un impatto significativo sulle future emissioni di anidride carbonica. In parole povere, porre fine alla deforestazione lorda sarebbe un grande passo avanti per il clima. Ma considerare solo la deforestazione netta potrebbe essere aneddotico e persino dannoso per la biodiversità”, argomentano i tre scienziati.

Parole corroborate da numeri, anche se non passati al vaglio di un processo di peer-review. Gli autori stimano che se tutti e 141 i paesi interpretano l’accordo puntando ad azzerare la perdita di foreste lorda, entro la fine del decennio avremmo un risparmio di 5 Gt di CO2. Abbastanza per colmare il gap tra gli impegni nazionali presentati nel quadro del Paris agreement (i Nationally Determined Contributions, NDC) e gli sforzi necessari per restare sotto gli 1,5 gradi di riscaldamento globale.

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All’estremo opposto, se tutti interpretano l’accordo come perdita di foreste netta (e lo rispettano), quindi suppliscono al disboscamento con un tasso uguale non di riforestazione ma di nuove piantagioni (in pratica, monocolture), i benefici in termini di emissioni sono praticamente zero. “Se tutti i Paesi mirassero ad arrestare la perdita netta di foreste”, si arriverebbe “a emissioni di carbonio nel 2030 paragonabili a quelle del 2010”, continuano gli scienziati.

A conti fatti, al 2050 il primo scenario sequestrerebbe 143 ± 38 Gt CO2, mentre una deforestazione netta con opera di riforestazione praticamente solo la metà: 68 ± 20 Gt CO2. Nel caso peggiore, dove le colture rimpiazzano le foreste, i benefici sono quantificati in uno striminzito 8 ± 16 Gt CO2.